Undicimila mostre all'anno sono poco o troppe? In Italia oggi se ne
inaugurano 32 al giorno, una ogni 45 minuti, in 4.000 sedi disseminate in più
di 1.500 centri urbani ed extraurbani. Emerge dalla ricerca intitolata "Le
mostre al tempo della crisi. Il sistema espositivo italiano negli anni
2009-2011" condotta per Florens 2012 dalla Fondazione di Venezia.
A illustrare i dati Guido Guerzoni dell'Università Bocconi, che ha
commentato: ''A dispetto della crisi, l'Italia è diventata un dispendioso e
rutilante mostrificio. Mancano i denari eppure si investono centinaia di
milioni di fondi pubblici per finanziare 'irripetibili' esposizioni di
capolavori internazionali''. Insomma rimbalza più scottante che mai con questa
ricerca il tema della programmazione culturale sul territorio, il ruolo dei
musei, delle Sovrintendenze e degli spazi espositivi.
Per la prima volta è stata indagata la struttura del sistema
espositivo italiano, analizzando 9.409 mostre organizzate nel 2009 e 6.120 nel
2011. E' stata analizzata la distribuzione geografica delle mostre, le
tipologie e la natura delle sedi ospitanti, i temi espositivi, la durata media,
la struttura del calendario nazionale, le politiche tariffarie, il numero di
visitatori, i curatori.
Le regioni con il maggior numero di mostre nel 2009 sono state la
Lombardia (1.776) e il Lazio (1.245), seguite dalla Toscana (992), dall'Emilia
Romagna (861), dal Veneto (823) e dal Piemonte (731). Trend confermato nel
2011, con la Lombardia (1.345) seguita da Lazio (954), Toscana (534), Veneto
(439) e Piemonte (387); agli ultimi posti si trovano le regioni meridionali: la
somma di tutte le mostre organizzate nel sud e nelle isole non raggiunge il
totale nel 2009 di Roma (1.015) o Milano (1.001).
Per quanto riguarda la distribuzione interna, a parte Lombardia,
Lazio, Piemonte e Campania, dove i capoluoghi regionali totalizzano più del
60%, nelle altre regioni la situazione è, nello squilibrio generale, più
equilibrata: i casi più lampanti sono quelli dell'Emilia Romagna (dove nel 2009
sono state organizzate 50 mostre a Bologna e 811 negli altri centri) e della
Toscana (339 contro le 168 di Firenze nel 2011), seguite da Sicilia, Puglia,
Marche, Umbria, Trentino Alto Adige, Abruzzo e Calabria.
Si programma poco e male, con forti oscillazioni dei livelli di
offerta, che non vengono ancorati a disegni di sviluppo, né a piani di
redistribuzione territoriale per armonizzare i flussi di visita. Ne conseguono
rivalità e affollamenti.
Vi sono aree in cui, nel raggio di 42 km, sono simultaneamente aperte
anche 11-12 mostre, l'una contro l'altra armata, in cui gareggiano migliaia di
fenomeni: l'Italia conta più di 30.000 curatori di mostre (dal database di
UnDo.net) e alcuni di essi curano più di 15 eventi all'anno. Una ogni quattro
settimane.
Considerazioni analoghe riguardano le sedi: a fronte dei 4.210 musei
censiti nel 2004 in Italia, nel 2009 sono state rilevate ben 3.876 sedi
espositive. Tuttavia, solo un terzo delle mostre è ospitato presso strutture
museali (una percentuale molto più bassa che all'estero), laddove più del 60% è
allestito presso spazi utilizzati solo per eventi temporanei.
Si tratta quasi sempre di edifici storico-monumentali, non sempre i
più idonei, poiché patiscono vincoli che rendono più costose e complicate tali
attività. Assai sorprendente è pure l'esame dei temi espositivi, che registra
il netto predominio dell'arte contemporanea, che detiene il 65,1% del totale,
seguita da un altro genere, la fotografia, con il 10,4%, a sua volta tallonata
dalle esposizioni documentarie, dalle mostre di illustrazione/grafica e da
quelle di arte moderna (scese nel 2011 al 3,1%), che continuano a diminuire
insieme a quelle archeologiche e di arte antica, a causa degli alti costi di
realizzazione e del disinteresse di buona parte del pubblico, segnatamente di
quello più giovane.
Veleggiano a fondo classifica le mostre dedicate ai temi scientifici e
tecnologici, alla moda e al design, all'architettura e ai media, alla
comunicazione e ai bambini, alle questioni sociali e di genere. Va, tuttavia,
precisato che l'etichetta di ''arte contemporanea'' cela spesso la promozione
di geni locali, la ''contemporaneità''' di certe produzioni è certificata solo
dalla permanenza in vita dei relativi autori. Il 60% delle mostre dura meno di
30 giorni.
Un palinsesto frammentato con una moltitudine di nanomostre che
oscurano le iniziative più serie, se è vero che in media risultano
contemporaneamente aperti 1.421 eventi. Per fortuna nove mostre su dieci sono a
ingresso gratuito (quelle a pagamento erano il 12,1% nel 2009 e 10,3% nel
2011). Le serie storiche relative ai visitatori dei musei e delle mostre
palesano, infatti, lo squilibrio creatosi tra i rispettivi tassi di crescita,
al punto che oggi la loro relazione si sostanzia in un rapporto di tre a due, 60
contro 40 milioni circa ed è destinato a raggiungere presto il pareggio, anche
se le fonti e i metodi di calcolo dei visitatori delle mostre non brillano
certo per trasparenza.
L'eccesso di offerta non assiste i processi di selezione dei soggetti
più solidi e seri, né la maturazione del mercato, che non riesce a premiare i
produttori più meritevoli perché schiacciati da mostre blockbuster spinte dal
marketing.
"L'Italia avrebbe davvero bisogno di una salutare cura dimagrante
- ha osservato Guido Guerzoni - al giorno d'oggi le mostre sono indispensabili,
ma va ripensato radicalmente il sistema produttivo, la funzione culturale, il
ciclo di gestazione, il calendario, la politica dei prezzi. Non si vuole negare
che gli eventi espositivi rappresentino un importante strumento di
valorizzazione del patrimonio culturale e di mediazione delle produzioni più
innovative: le mostre sono indispensabili, quando rispondono a un progetto
culturale sensato – ha proseguito Guerzoni - tuttavia nel Belpaese la loro
funzione è stata travolta e stravolta da una proliferazione che ha raggiunto
livelli grotteschi, massacrando la qualità e sollevando interrogativi del tutto
leciti". "Sarebbero auspicabili - conclude Guerzoni - meno spazi
effimeri e più strutture museali, meno quantità e più qualità, meno passato e
più futuro, più progetti culturali sensati, attenti alle esigenze di un
pubblico assai meno ignorante di quanto si pensi'".
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