mercoledì 28 novembre 2012

Le Accademie italiane sono fuori dal circuito internazionale. C’è ancora speranza per l’arte nostrana?




Che l’Università italiana sia nel pieno della fase discendente della sua parabola è noto a tutti, ma che facesse un tonfo così sonoro davvero non ce lo si aspettava. Le Accademie delle Belle Arti italiane, da quella di Firenze a quella di Roma sono state ufficialmente considerate fuori dal circuito delle università internazionali ed europee, come dire: vuoi che l’arte diventi il tuo mestiere? Impara ad arrangiarti. La notizia non può che destare scalpore se si pensa a quanto antiche siano le Accademie d’arte italiane e di quale eredità culturale esse siano figlie a dispetto di quelle del resto d’Europa.

E’ paradossale, ma a quanto pare la storia millenaria delle città italiane e della loro architettura non ha alcun valore anzi, gli studenti italiani sono talmente snob da preferire una preparazione più europea andando altrove, lasciando il patrimonio artistico del proprio paese come un orfano alla ricerca della madre. Ma per fortuna che a pensarci (al suo paese ovviamente) c’è Giuseppe Scalera che ha depositato ufficialmente presso la VII Commissione Culturale della Camera dei Deputati una proposta di legge per trasformare le venti accademie di Belle Arti italiane in vere e proprie facoltà universitarie.

Una proposta coraggiosa che serve a restituire quel senso olistico e multidisciplinare che caratterizza o dovrebbe caratterizzare il sapere universitario e che vede schierate in prima linea personalità autorevoli del mondo dello spettacolo e della cultura, per sostenere gli intenti ammirevoli di Scalera. Rita Levi Montalcini, Gillo Dorfles, Dario Fo, Achille Mauri, Claudio Magris e tanti altri si sono mostrati entusiasti e favorevoli ad una riforma universitaria che si diriga in tal senso. Solo in questo modo è possibile recuperare la propria identità di individuo appartenente ad un  territorio accettando le altre. Un sapere autentico si basa sulla conoscenza delle varie discipline, quelle artistiche comprese.


Fonte: L’UNICO

Lentamente ci si annoia, l’arte contemporanea sempre più omologata.




Il sistema dell’arte contemporanea sta attraversando una fase difficile (come un poco in tutti i campi sta succedendo).
In questi ultimi decenni si è creato in Italia un sistema promozionale, in ambito artistico, che incensa un gruppo di personaggi alquanto deboli.
Figure che vengono rimescolate sempre nei medesimi spazi espositivi, con i soliti supporti (critici e giornalistici).
Artisti/amici conosciuti secondo percorsi simili, a corsi analoghi, a scuole uguali, con identici insegnanti …
Così tutti seguono un processo artistico omologato, che produce opere molto simili, copia di altri sistemi.
Come si può pensare che si sviluppi autenticità e fantasia da un percorso così noioso? Infatti le opere che nascono da questo sistema raramente hanno una capacità di durare nel tempo, essendo esercizi tematici sviluppati con metodologia affini, prive così di un vero valore che superi l’attimo espositivo.
Ci sono stati alcuni segnali di cambiamento ma si sono subito spenti.


Fonte: Exibart blog

martedì 27 novembre 2012

A Palermo rinasce la cittadella liberty della cultura. Il 16 dicembre apre Zac, Zisa arte contemporanea.




Cantieri culturali della Zisa: 55 mila metri quadri dedicati all'arte e alla cultura con decine di padiglioni delle ex officine Ducrot, alcuni dei quali già ristrutturati e destinati ad ospitare eventi, mostre, esposizioni, rassegne, un teatro di posa, un cinema con 500 posti, laboratori artistici e una scuola di cinema. Finora giacevano purtroppo in un desolante abbandono. “La più grande scommessa culturale della città di Palermo”,  com’era stata definita all’epoca della nascita del progetto, lasciata nel degrado e nell’incuria.

Eppure quelli delle ex Officine Ducrot, situate alle spalle del Castello della Zisa con i loro capannoni, sono esempi preziosi di archeologia industriale: da queste fabbriche, ai tempi dell’Esposizione Universale di Palermo del 1891/92, uscivano mobili in stile Liberty tra i più belli d’Europa, disegnati dalla matita del celebre architetto palermitano Ernesto Basile, per andare ad arredare interni prestigiosi come quelli delle navi da crociera Florio e le sale di Montecitorio. L’ingegnere francese che gestiva le Officine nel 1930 aveva 2500 operai ed era quotato in Borsa. Poi un graduale declino e, negli anni Novanta, il recupero e il progetto di realizzazione di una cittadella della cultura. Dieci anni dopo alcuni eventi legati alla Conferenza ONU possono svolgersi qui. Poi di nuovo l’involuzione, che dura fino ai nostri giorni, nonostante le proteste dei cittadini.

Adesso arriva finalmente una buona notizia: nasce la Zac, Zisa arte contemporanea, una nuova area dedicata alla sperimentazione e curata in collaborazione con l' Accademia di Belle Arti di Palermo, all’interno dei Cantieri culturali e precisamente nel padiglione Museo Euromediterraneo ristrutturato con i fondi Por.

Per lo spazio espositivo, che aprirà a breve, il prossimo 16 dicembre, è stato individuato un comitato scientifico, che sarà a costo zero, con i componenti che lavorano a titolo gratuito presieduto dall’assessore alla Cultura Francesco Giambrone e coordinato da Antonella Purpura, dirigente del Servizio musei e spazi espositivi. 


Fonte: La Stampa

venerdì 23 novembre 2012

Il MiBAC lancia un questionario online per scoprire “IL MUSEO CHE VORREI”.




La Direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale del MiBAC lancia la prima consultazione pubblica online per conoscere esigenze e proposte dei cittadini e migliorare la fruibilità dei luoghi statali della cultura.
Infatti, fra i compiti istituzionali del MiBAC, vi è la promozione della conoscenza, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale e l’ottimizzazione dell’esperienza complessiva della visita dell’utente attraverso l’offerta di servizi al pubblico, definendone gli standard e i livelli di qualità.
Per conseguire l’obiettivo e garantire nel tempo la sostenibilità dei servizi offerti agli utenti, ha posto in essere più linee di attività e, tra queste, assumono particolare rilevanza l’analisi, la conoscenza e la valutazione critica della domanda di servizi, affinché l’offerta possa essere sempre più funzionale alle esigenze di fruizione dei cittadini.
Il questionario sarà online fino al 9 dicembre 2012. Contribuiamo anche noi con il nostro piccolo aiuto.

In Sicilia si potrebbe vivere di sola cultura ed arte.




Oltre 250mila nuovi posti di lavoro al Sud, di cui 100mila laureati, potrebbero essere creati nel settore dell’industria culturale grazie a precisi interventi di politica industriale misti a strumenti di valorizzazione del patrimonio.

La stima della Svimez è contenuta nella nota del vice direttore Luca Bianchi dal titolo “Le potenzialità dell’industria culturale nelle regioni del Mezzogiorno“. Secondo dati Eurostat, nel 2010 il settore dell’industria culturale ha dato lavoro a 16,4 milioni di persone. Un settore interessante, che tiene la crisi, crescendo dell’1,3% dal 2008 al 2010, e che occupa soprattutto donne (45% sul totale degli occupati nel settore) e laureati (53%).

Nel 2010 dei circa 1,6 milioni di occupati in Italia nel settore, circa l’85%, cioè 1 milione 356mila, sono al Centro-Nord e soltanto 275mila al Sud. Il Sud è la Cenerentola dell’industria culturale è la Sicilia fa registrare 57.291 occupati.

Cosa manca al Sud, ed alla Sicilia in particolare, per colmare questo gap occupazione nel settore culturale?
E’ chiaro che emerge la necessità di affiancare a interventi volti alla valorizzazione del patrimonio culturale anche strumenti di politica industriale che cerchino di attivare comparti di produzioni ad esso connesso. Oggi più che mai la produzione di cultura, la propensione alla qualità e al bello deve dunque incrociare l’innovazione, la ricerca, la nuova frontiere della green economy per determinare importanti effetti sull’occupazione qualificata. Gli spazi di crescita sono importanti soprattutto nelle regioni meridionali come la Sicilia che, del suo patrimonio artistico-culturale, non ha nulla da invidiare a nessun altro luogo sulla Terra!


Fonte: Tempi e Terre

giovedì 22 novembre 2012

Palermo. In Medi Terraneum, il video art Festival internazionale "di periferia".




In Medi Terraneum 2012 è un Festival internazionale di video arte che si svolge simultaneamente in America Latina e nei paesi del Mediterraneo. È incentrato sullo sviluppo di nuove tematiche connesse con le possibilità creative offerte dalla video arte. Il Festival ha come scopo il cambio di marcia nel flusso abituale dei circuiti artistici attraverso una rivalutazione di ciò che viene definito centro e ciò che viene definito periferia.
Mentre i lavori della scorsa edizione affrontavano la tematica “creatività e precarietà” questa terza edizione del Festival indaga su questioni riguardanti "la considerazione dell’errore all’interno del processo creativo" e "la creazione a partire da pratiche collettive".

• Inclusione dell’errore nel processo creativo.
In alcuni ambienti si tende a non lasciare spazio all’errore, a stigmatizzarlo e ad identificarlo con il fallimento.
Invece bisogna rivalutare l’errore come elemento naturale facente parte di un processo di apprendimento e di scoperta dei propri limiti.

• La creazione a partire da pratiche collettive e l’intelligenza collettiva.
Tutto il lavoro intellettuale, scientifico, artistico o tecnico, si nutre di riferimenti, codici e conoscenze che possono essere reinterpretati, riutilizzati o remixati come punto di partenza per la creazione di qualcosa di nuovo. Niente nasce dal vuoto assoluto, neppure l’opera che si considera geniale e unica. Non si tratta di eliminare il concetto di originalità ma di restituire alla società, attraverso il lavoro realizzato, qualcosa delle conoscenze che ci ha dato.



In Medi Terraneum 2012
Festival Internazionale di Video Arte
29, 30 novembre e 1 dicembre 2012
www.inmediterraneum.com

Italia, Argentina, Spagna, Grecia e Uruguay

Sedi
L’ Instituto Cervantes di Palermo (Italia), L’ Istituto Italiano di Cultura e il Centro Culturale MuMu a Córdoba (Argentina), Project 210 di Atene (Grecia) e la Casona Mauá di Montevideo (Uruguay) sono le sedi dove si svolgerà questa terza edizione del Festival IN MEDI TERRANEUM.

INAUGURAZIONE PALERMO
giovedì 29 novembre 2012, ore 19.00
Instituto Cervantes Palermo,
Chiesa di Santa Eulalia dei Catalani
Via Argenteria Nuova, 33
90133 Palermo

Per maggiori informazioni o immagini:
Fabrizio Silvestre
f.silvestre@inmediterraneum.com

Musei chiusi, opere d'arte in prestito, ecco i gioielli proibiti di Sicilia.


Satiro danzante


Sono opere d'arte invisibili quelle custodite nei musei siciliani: impegnate in lunghe trasferte all'estero che le tengono distanti da casa o perché negate alla fruizione dalla chiusura dello stesso museo. La denuncia parte da un post su Facebook scritto da Adriano Sofri, il racconto di una serie di mancati incontri con le opere d'arte che lo scrittore desiderava vedere in occasione del suo soggiorno siciliano. Visite impossibili, perché le opere sono da tempo disseminate in musei lontani, e la loro assenza dai luoghi espositivi che generalmente le accolgono non è segnalata: così accade che i turisti che pianificano una visita in Sicilia in giro per musei, possano rimanere delusi. E cercare invano opere sostituite da un cartellino che ne spiega l'assenza.

La lista delle opere eccellenti fuori sede  -  anche quelle che in realtà non potrebbero partire, perché iscritte in una lista di beni "inamovibili", secondo la direttiva assessoriale del 23 maggio 2007  -  è lunga: l'Efebo di marmo del museo di Mozia, e che è stato inviato a Londra in seguito ad accordi di scambio in occasione delle Olimpiadi, è adesso a Malibu, al Museo Getty, dove sarà in mostra fino all'aprile 2013; la licenza di espatrio è stata firmata però fino all'agosto del 2013, e nel caso in cui il nuovo assessore regionale ai Beni culturali (assente in questo momento di transizione) vorrà, potrà firmare la proroga che lo vedrà ancora in circolazione fino al 2014, a Cleveland dove sarebbe atteso con l'intera mostra in questo momento allestita al Getty.

Il periodo massimo di assenza delle opere preventivato dal codice dei Beni culturali è di diciotto mesi, ma in realtà non essendo attiva la Consulta dei Beni culturali, la decisione spetterà esclusivamente all'assessore regionale, quando verrà nominato. L'Efebo di Selinunte si trova a Shanghai esposto in occasione della mostra organizzata dalla Triennale, che chiuderà il 31 gennaio 2013: ma è stata firmata una proroga fino al 28 febbraio, per dare il tempo di smontare e rispedire l'opera. Insieme all'Efebo, sono a Shanghai cinque dipinti provenienti dalla Galleria di arte moderna di Palermo, due opere di Francesco Lojacono, e tre tele di Antonino Leto, Ettore De Maria Bergler e Niccolò Giannone.

Il Satiro danzante, scultura di straordinaria bellezza attribuita alla scuola di Lisippo, da Mazara del Vallo è volata a Londra, per una mostra sui bronzi alla Royal Academy: insieme al Satiro, è a Londra per la medesima esposizione l'Ariete conservato al Museo archeologico Salinas di Palermo.

Il museo Salinas, custode delle metope di Selinunte e della Pietra di Palermo, a sua volta è chiuso dal luglio 2009: l'apertura, prevista per la fine di quest'anno, slitta di un paio di mesi, data ancora da determinare. Per fortuna i reperti etruschi della collezione Casuccini sono esposti all'Albergo delle povere.

La mostra di Londra chiuderà il 9 dicembre, ma è ancora in bilico il ritorno dell'Ariete  -  descritto da Wolfgang Goethe nel suo "Viaggio in Sicilia" e ritratto nelle incisioni di Jean Hoeul  -  che potrebbe nuovamente partire e andare a Los Angeles per una mostra dell'anno prossimo.

Sia il Satiro, che l'Ariete e l'Auriga fanno parte del nucleo delle ventuno opere inamovibili, ma proseguono a viaggiare con permessi speciali che le vedono partire per lunghi periodi, anche a seguito di scambi con altre opere o mostre provenienti da musei internazionali.

Chiuso, questa volta per lavori di restauro e per difficoltà economiche, il Museo Mandralisca di Cefalù, che custodisce opere di primissimo piano come il Ritratto d'ignoto marinaio, capolavoro di Antonello da Messina. Manlio Peri, vicepresidente della Fondazione Mandralisca, spiega: "Stiamo ultimando i lavori per la realizzazione dell'impianto antincendio ed elettrico, quest'ultimo vecchio e pericoloso. La consegna dei lavori dovrebbe avvenire a fine gennaio, e così a Natale il museo rimarrà chiuso. In realtà ci sono ben altri problemi economici: il personale non riceve lo stipendio da otto mesi, e dunque non so come andrà a finire, se saremo nelle condizioni di riaprire". Tempi lunghi, lunghissimi, dunque, per rivedere la tavoletta che ispirò Vincenzo Consolo.


Fonte: La Repubblica - di Paola Nicita

mercoledì 21 novembre 2012

Le bufale dell’arte smascherate dal nuovo libro di Montanari.




"Ogni lancio di agenzia, articolo di giornale o servizio televisivo che contribuisca a propalare la bufala figurativa di turno non solo comunica il falso e promuove l'eradicamento del senso critico, ma toglie spazio a un discorso sulla storia dell'arte che possa educare al patrimonio diffuso, denunciarne lo stato rovinoso, promuoverne la conoscenza". Così scrive Tomaso Montanari, fiorentino classe 1971, docente universitario di Storia dell'arte moderna presso l'Università Federico II Napoli, ne “La madre dei Caravaggio è sempre incinta”, un pamphlet ironico e pungente sulle bugie che spesso l'arte, o meglio gli specialisti e presunti tali, riescono di tanto in tanto a partorire, lasciando circolare a piede libero delle bufale sensazionali.

Il libro si ispira ad un episodio risalente al 5 luglio 2012, quando l'Ansa, in esclusiva mondiale batteva una notizia clamorosa: il ritrovamento di circa 100 disegni del Caravaggio mai venuti alla luce prima. Questa del Caravaggio è solo l'ultima delle tante leggende metropolitane nel mondo del'arte. Di esempi se ne potrebbero fare a migliaia per cercare di sfatare il mito degli intenditori d'arte spesso illegittimi e per chiarire se davvero i media e l'informazione siano oggi attendibili e quali siano le loro responsabilità.

Montanari offre nel suo pamphlet una visione critica e brutale sul mondo dell'arte, su come l'industria delle mostre abbia a che fare strettamente con i media promuovendo una visione distorta e priva di fondamento sulla realtà dell'arte. E' molto difficile, spiega Montanari, cercare di non farsi influenzare da questo lavoro di continuo bombardamento mediatico, soprattutto perchè tra le vittime, i più colpiti sembrano essere gli esperti più che i profani. Il consiglio è dunque quello di cercare sempre di filtrare criticamente le informazioni, educare il lettore alla vera conoscenza dando meno ascolto a quello che suggerisce la tv e frequentando più da vicino il mondo dell'arte.

Il critico d'arte e curatore Luca Beatrice sarà a Marsala per la presentazione del suo nuovo libro.



                              
Verrà a Marsala venerdì 23 novembre, uno dei più noti critici e curatori d'arte contemporanea d'Italia, Luca Beatrice. Iniziata la carriera verso la fine degli anni '80 con mostre storiche sul futurismo torinese, nel 2009 venne chiamato a curare la 53° Biennale di Venezia. Inoltre, ha insegnato storia dell'arte all'Accademia di Belle arti di Palermo, di Brera e all'Accademia Albertina di Torino. A Marsala, Luca Beatrice, presenterà il libro “Pop: l'invenzione dell'artista come star”... (Edizioni Rizzoli), il racconto di 6 biografie: Dalì, Warhol, Basquiat, Koons, Hirst e Cattelan. La presentazione avverrà all'interno del progetto “Incontro con l'autore” organizzato dalla Libreria Mondadori – con il patrocinio del comune di Marsala – che si terrà venerdì alle ore 18, presso la sala conferenze del Complesso Monumentale San Pietro. L'incontro nasce da un'idea di Maria Grazia Sessa, dirigente scolastico della Scuola Media “Mazzini” nonché pittrice ormai da molti anni. La Sessa coordinerà la presentazione del libro; dialogherà con l'autore Francesca Pellegrino, docente di Storia dell'Arte; il sindaco Giulia Adamo interverrà per i saluti. Alle scuole superiori di Marsala sono stati omaggiate le copie del libro di Beatrice, così gli studenti potranno preparare degli interventi. Preziosa è stata la collaborazione di alcuni professori. Nel corso dell'incontro con l'autore, verrà proiettato un video intrattenimento realizzato dal giovane Francesco Alagna.


Fonte: Marsala c'è

martedì 20 novembre 2012

Il progetto Yoox Art, ovvero come acquistare opere d'arte a poco prezzo.




La nuova piattaforma dedicata all'arte permette di acquistare con un click un'opera in serie limitata. Un'ottima comodità a discapito dell'arte?

La comodità di poter accedere a qualunque informazione, da qualsiasi parte del mondo in qualunque momento è una delle comodità più efficaci della nostra epoca.
Con Yoox Art da oggi sarà possibile acquistare con un click un'opera d'arte con la stessa facilità di una t-shirt, di un servizio di piatti o di una borsa in saldo.
L'aumento di interesse nell'arte contemporanea in relazione alle difficoltà economiche ha permesso ad ognuno di noi di poter risparmiare denaro, tempo e scocciature senza dover rinunciare all'acquisto di un'opera firmata da un artista famoso, consegnata direttamente a domicilio.
Una comodità che se da un lato genera un incremento d'affari, dall'altro appiattisce l'emozione della ricerca del pezzo preferito, mettendolo sullo stesso piano di un prodotto in serie qualsiasi.
Ecco quindi che, comodamente sdraiato sul mio divano, potrò nell'ordine: fare la spesa per la settimana, acquistare un nuovo paio di jeans, il nuovo album del mio artista preferito e la stampa in serie limitata di Damien Hirst vista due giorni prima da appendere in salotto.
Non ho mai considerato un'opera d'arte un elemento di arredo, ma il risultato della somma di esperienze, sofferenze, vittorie e sconfitte tradotte in colore, tratti e volumi. Un modo per entrare in contatto con l'autore e potere, anche solo per un momento, scambiare una silenziosa conversazione fatta di sguardi e consapevolezze.
Se cerco un souvenir lo posso trovare nel Book shop di qualunque museo del mondo.


Fonte: Panorama

Perché si scrive Italia e non si legge arte: le cause di un declino.




Abbiamo un patrimonio culturale importante e sconfinato. Una certezza che, a forza di ripeterla, è diventata una litania. Ebbene, nonostante questo, quando si parla di arte il nostro Paese ha imboccato nell'ultimo secolo (dal 1900 al 2000) una ripida parabola discendente, che l'ha portato dal primo all'ultimo posto. Neanche la rendita di posizione è riuscita ad evitare questo «declino storico», che ha fatto crollare le nostre quotazioni nel settore artistico. È uno dei dati più sconfortanti fotografati da "Indice 24", il parametro messo a punto da Pier Luigi Sacco, docente di economia della cultura allo Iulm di Milano, utilizzando l'archivio digitalizzato Google-Harvard, che contiene più di 8 milioni di volumi in lingua inglese.
Lo studio ha permesso di costruire degli indicatori di competitività simbolica, nel senso che associando termini come "arte", "musica", "architettura", "cinema", "design", "moda" e "food" al nome di un determinato Paese e ripetendo la medesima operazione con altre realtà, si può ottenere una prima misura di quanto – sottolinea Sacco - «una certa area di produzione di contenuti nel contesto globale» sia presidiata all'interno di ciascun confine nazionale. Da specificare che i valori non vanno letti in termini assoluti, ma relativi.
Oltre all'arte, una perdita analoga si verifica per l'architettura, mentre tengono settori come il design, la moda e il cibo, che sono comunque tipici del made in Italy, seppure si rimane al di sotto dei livelli dei Paesi ai primi posti nella classifica.
La perdita di posizioni del nostro Paese nel campo della produzione culturale fa il paio con con la diminuzione di appeal del marchio Italia. Lo si può verificare – spiega Sacco – ricorrendo al Country brand index, pubblicato annualmente da FutureBrand: nella classifica 2011 dei primi dieci brandPaese, l'Italia era al decimo posto, seppure due posizioni più su rispetto all'anno precedente.
Può parzialmente consolarci il fatto che l'indicatore di attrattività culturale, costruito utilizzando Google Trend, fotografi una situazione abbastanza omogenea: nei principali Paesi europei l'attenzione verso la cultura punta, negli ultimi anni, decisamente verso il basso (si vedano i grafici a fianco). Dato consolatorio che, però, è prontamente ridimensionato dal fatto che l'Italia, pur con la storia e i monumenti di cui dispone, è al livello più basso dell'indice.
L'immagine che si percepisce oltreconfine è, dunque, quella di «un Paese mediocre che vive sulle spalle di un grande passato». Per rovesciare questa percezione sarebbe necessario riportare la cultura al centro dell'attenzione, facendo risalire posizioni alla produzione culturale e creativa, che invece oggi viene vista come improduttiva, alla mercè dei sussidi ottenuti dalla redistribuzione del valore generato da altri ambiti.
Una visione che non corrisponde alla realtà, perché – come segnalano i dati contenuti nella ricerca Unioncamere Fondazione Symbola, utilizzati da Sacco nello studio che ha generato "Indice 24" – il sistema delle industrie culturali e creative nel 2011 ha generato valore pari al 5,4% del Pil, che arriva al 15% se si considera una nozione allargata di filiera culturale e creativa, includendovi turismo, educazione, produzioni tipiche, attività edilizie in aree di pregio storico-artistico.
Più nel dettaglio, il fatturato dell'industria culturale equivaleva (sempre nel 2011), al 2,51% del Pil, mentre quello della filiera creativa corrispondeva al 2,54% (lo scarto rispetto al 5,4% complessivo è attribuibile al fatturato del settore culturale non industriale). Sulla base di questi dati, si può, secondo Sacco, dire che il moltiplicatore culturale è pari a 1. In altri termini, «per ogni euro di fatturato prodotto dall'industria culturale si generano contenuti che contribuiscono a produrre un ulteriore euro di fatturato nell'industria creativa». È, invece, pari a 2,77 il moltiplicatore creativo, cioè «per ogni euro fatturato dalle industrie creative, i contenuti da esse prodotti contribuiscono a generare un ulteriore fatturato indotto di 2,77 euro di media».


Fonte: Il Sole 24 ORE - di Antonello Cherchi

lunedì 19 novembre 2012

Difendere l’Arte: la nuova mission di Palermo.




È diventata un’impresa degna delle più ardue fatiche di Ercole, in particolare se la città in oggetto è Palermo. Stiamo parlando della difesa dei monumenti, una missione difficile da portare avanti e che sta diventando un problema sempre più attuale per la comunità. Centinaia di luoghi artistici sono stati “sporcati” da graffiti e messaggi di dubbia utilità sociale, con costi di rimozione che gravano, ovviamente, a bilancio comunale.
Questa volta abbiamo avuto l’occasione di osservare il caso del Monumento al Cinquantenario della Liberazione di Palermo, costruito agli inizi del 1910. La Statua della Libertà – uno dei beni architettonici più famosi della città, è stata “vandalizzata” da varie scritte disegnate da anonimi graffitari, tra le quali spiccano massime del calibro di «Peter ti adoro» o «Eros si a me vita». Non sappiamo se quest’ultima frase fosse riferita al celeberrimo cantante italiano, quello che purtroppo sappiamo è che il monumento adesso richiede una costosa pulizia per rimuovere le scritte in questione.
Il caso del Monumento al Cinquantenario non è ovviamente un caso isolato; basta per esempio ricordare il caso del Palchetto della Musica di piazza Castelnuovo, imbrattato da una “dedica amorosa”, la cui rimozione, al Comune di Palermo, è costata intorno ai 40000 euro.
Telecamere? Ronde? Multe colossali? Cosa si può fare per fermare tutto questo? Si potrebbe, ad esempio, iniziare a lavorare su due livelli, uno a breve e l’altro a lungo termine.
Nel breve termine, la soluzione potrebbe essere quella dei servizi di sorveglianza nei principali luoghi artistico-monumentali della città. Coloro i quali fossero sorpresi ad imbrattare la cosa pubblica, dovrebbero pagare i danni da loro causati. Per quanto riguarda la fase a lungo termine, si potrebbe iniziare a lavorare sui bambini e sugli adolescenti, la cui mente è certamente più aperta a recepire messaggi, come ad esempio quello che l’arte va rispettata e difesa. Il momento della gita non deve rappresentare, per i giovani studenti, un momento per saltare ore di scuola, bensì un momento nel quale capire ed apprezzare l’importanza dell’arte per una città che, sul turismo, dovrebbe basare uno dei pilastri principali della propria attività economica.


Fonte: Rosalio - di Pietro Minardi 

sabato 17 novembre 2012

Installazioni contemporanee, provocazioni create ad Arte.


di Monica Bruna per Targatocn.it




Le chiocciole, i lupi, le rane, i conigli, le tartarughe ed altri animali colorati e giganti del Cracking Art Group che in questi giorni stanno invadendo le strade di Cuneo, hanno suscitato opinioni discordanti fra i cittadini. C'è a chi piace e a chi no. “Ma è arte questa? E che cosa vuol dire?”, si domandano quelli che non hanno apprezzato l'iniziativa. La spiegazione tecnica degli artisti sarebbe questa: “L’idea è quello di evocare e rinnovare un rapporto sempre più stretto tra vita naturale e realtà artificiale attraverso l'uso rivoluzionario di materie plastiche frutto del cracking catalitico (da cui il nome del gruppo), che trasformano il petrolio in materia organica”. Gli scettici potrebbero allora rispondere: “E allora? Tanto io non capisco lo stesso”.

Io non sono una studiosa dell'arte, ma la seguo da semplice appassionata, ed in tutte le sue forme. Per me il grande equivoco è quello di volere distinguere in senso manicheo quella che è stata l'arte passata, classica, e l'arte contemporanea. Solo la prima di dovrebbe fregiare del titolo di “Arte”, di “Opera d'Arte”, perché “si capisce”. Un semplicismo, questo.

Ad uno sguardo superficiale, se ci troviamo di fronte, per esempio, al “Martirio di San Lorenzo”, opera di Tiziano esposta ad Alba, la Pala illustra, banalmente, la morte del santo. Sì certo, c'è la tecnica, “è dipinto bene”. Ma non è tutto qui. Il quadro parla anche d'altro, di molto d'altro (vedi infatti http://www.gazzettadalba.it/2012/05/il-martirio-di-sanlorenzo/).Invece, la chiocciola dei Cracking Art l'hanno capita benissimo i bambini che la toccavano, l'accarezzavano, ridevano e dicevano “ma è molle!”: arte sicuramente alla portata di tutti.

Certo, molte opere di arte contemporanea sono “furbe” e “cialtrone”, altre fanno parte della categoria “questo lo sapevo fare anche io” (peccato però che ci abbia pensato prima qualcun altro), ma non è tutto così. In alcuni casi dietro ci sono delle intuizioni sorprendenti, che ribaltano la visione comune, ma sono talmente innovative che si fatica a capirle, anche se spesso si tratta solo di una questione di tempo. Occorre ricordare che anche i primi impressionisti non furono “capiti” ed osteggiati, mentre ora sono considerati addirittura dei “classici”.

Un'altra differenza fra l'arte “classica” e quella moderna sta nel tipo di sensazioni che queste ultime trasmettono. Alcune sono tattili, come per le lumache, altre ludiche, altre visive con contaminazioni cinematografiche, altre estremamente emotive, altre divertenti, altre ancora coinvolgenti. Spesso entrare in un museo di arte contemporanea significa quasi visitare un “luna park” ricco di sorprese che non t’aspetti: pavimenti che traballano, tunnel con la pioggia che non ti bagna, percorsi al buio, cavalli imbalsamati appesi al soffitto, enormi superfici specchianti, materassi congelati da serpentine refrigeranti, foglie d’insalata compresse da due mattoni…e così via.

Occorre poi anche concedere alla modernità il necessario passare del tempo che permetta di “abituarsi”, ovvero di riuscire a capire, immediatamente, senza tanti ragionamenti, che forse “quella cosa lì” non è un sasso buttato per terra – vedi Richard Long (una cui opera è ospitata al forte di Vinadio), le cui opere interagiscono con il paesaggio riorganizzandone lo spazio e i materiali (pietre, legno, zolle erbose, foglie, fango, ecc.) in nuove forme essenziali (cerchi, linee, brevi percorsi a zig-zag) – ma c'è ben di più.

Tutta l'arte può convivere, insieme, benissimo. Quindi posso entrare agli Uffizi e rimanere letteralmente estasiata nell'ammirare un quadro del Cinquecento (uno qualsiasi, a caso, perché sono tutti bellissimi), e poi visitare la Pinacoteca Agnelli e sorridere, divertirmi quasi, nel vedere appesi al soffitto gli scheletri di Titti e Silvestro (di Hyungkoo Lee) appartenenti alla collezione di Damien Hirst in una mostra appena inaugurata al Lingotto di Torino.

venerdì 16 novembre 2012

Montanari: l'arte è una questione politica e l’identità civile del nostro Paese.




Tomaso Montanari non ha nulla dello studioso libresco e polveroso. Combattivo, instancabile difensore di una visione «attiva» della storia dell'arte, Montanari, fiorentino, classe 1971, docente alla Federico II di Napoli, scrive sul suo blog: «Sono convinto che gli storici dell'arte servano a fare entrare le opere d'arte nella vita intellettuale ed emotiva di chi si occupa di tutt'altro. Penso anche che l'amore per la storia dell'arte non debba essere un fatto privato (o peggio un'evasione, o un modo per non pensare), ma pubblico e “politico”». 

In un’intervista per il Corriere del Mezzogiorno, Montanari afferma: “Oggi l'arte (del passato o del presente non importa) è avvertita come una splendida superfluità, un ornamento, un intrattenimento per ricchi sfaccendati. Non è sempre stato così: nella tradizione italiana, e prima ancora in quella classica, l'arte figurativa non è mai stata un fatto privato, né tantomeno un'evasione nella neutralità morale dell'estetica: almeno quanto la letteratura, l'arte ha invece strutturato e rappresentato il pensiero e l'identità civile del nostro Paese. Chi passeggia nelle nostre città storiche avverte che la bellezza che lo circonda è inseparabile dal senso di cittadinanza, di giustizia e di vita morale che quasi informano ogni pietra e ogni statua». 

Continua dicendo: “Oggi non è più così in parte per l'invadenza del dio dei nostri giorni: il mercato. Se il patrimonio artistico deve servire a far soldi (lo sostiene in questi brutali termini, per esempio, Matteo Renzi), non produce più cittadini, ma clienti. Ma la colpa è in gran parte degli storici dell'arte, chiusi in un discorso autoreferenziale e disinteressati a parlare ai cittadini. E invece abbiamo bisogno di una vasta campagna di alfabetizzazione figurativa: l'arte riacquista, può riacquistare, la sua dimensione civile se gli storici dell'arte fanno il loro dovere”.

mercoledì 14 novembre 2012

Musei siciliani ribattezzati. Avranno nomi di artisti, studiosi d’arte e due date da ricordare.




Renato Guttuso, Michele Cordaro, Biagio Pace, Saro Franco, sono soltanto alcuni dei nomi di artisti e intellettuali ai quali l'assessorato dei Beni culturali e dell'Identita' siciliana ha deciso di intitolare, nei giorni scorsi, i musei regionali delle citta' dove sono nati e ai quali e' legata la loro attivita'. Al pittore bagherese Renato Guttuso e' stato intitolato il museo regionale d'arte moderna e contemporanea ''Riso'' di Palermo; il museo interdisciplinare regionale di Caltanissetta e' intitolato a Michele Cordaro, storico e critico d'arte nisseno che fu, tra l'altro, direttore dell'Istituto nazionale per la grafica e direttore dell'Istituto centrale per la conservazione e il restauro; al docente di archeologia di Comiso Biagio Pace (1889-1955), che fu anche presidente della Commissione legislativa per l'Educazione nazionale della Camera, accademico dei Lincei e accademico d'Italia, e' stato intitolato il museo interdisciplinare di Ragusa. A Pace si devono i ritrovamenti archeologici a Camarina e a Mozia, vicino a Marsala; fu autore di studi sulla Sicilia bizantina e ottenne nel 1943 il premio dell'Accademia d'Italia per le scienze morali e storiche. Pace fu direttore della missione archeologica nel Sahara che porto' alla luce la civilta' dei Garamanti. Il museo regionale di Adrano e' stato intitolato al professore e cultore di archeologia Saro Franco (1924-2005); il museo archeologico regionale di Camarina ha adesso la denominazione ''Antonino Di Vita'' (1926-2011), l'archeologo e accademico dei Lincei che, nel 1958, ha avviato - dopo quelle di Paolo Orsi all'inizio del secolo scorso - le campagne di scavi che hanno portato alla scoperta della citta' di Kamarina; al ceramista e archeologo di Caltagirone Antonino Ragone (1916-2011), al quale si deve la celebre scalinata monumentale di Santa Maria del Monte a Caltagirone, e' stato intitolato il museo regionale della Ceramica. Nelle intitolazioni sono state ricordate anche le vittime di due disastri nelle miniere siciliane: il museo regionale delle miniere di zolfo di Agrigento con sede nelle miniere Ciavolotta e Cozzo Disi e' stato ribattezzato ''4 luglio 1916'', in memoria degli 89 minatori che quel giorno persero la vita per il crollo di alcune gallerie e le emissioni di idrogeno solforato; per ricordare i 65 operai morti nella miniera di Gessolungo a Caltanissetta per l'esplosione dovuta a una fuga di gas grisou, il museo regionale delle miniere di Caltanissetta e' stato titolato ''12 novembre 1881''. Quel giorno, morirono anche 19 bambini, nove dei quali rimasero senza nome. Il loro cimitero, detto ''dei carusi'' e' visitabile vicino alla miniera.


Fonte: ASCA

martedì 13 novembre 2012

Keith Christiansen: “I vostri musei non raccontano tutta l’Italia”.




Keith Christiansen, lei che è curatore d’Arte Europea del Metropolitan Museum di New York, come giudica la situazione all’interno del museo per il quale lavora? 
«Negli ultimi due anni abbiamo superato i sei milioni di visitatori. Siamo in attivo e i nostri progetti fortunatamente vanno tutti avanti».  

È vero che ha preparato un nuovo allestimento per il dipartimento dei quadri antichi?  
«Sì, una serie di gallerie utilizzate per le mostre negli ultimi 30 anni torneranno ad essere spazi di esposizione permanente. Quasi tutte le collezioni saranno riallestite e il lavoro sarà portato a termine a maggio del 2013». 

E avrete più opere esposte?  
«Sì, con nuovi itinerari. Il Nord Europa comincerà con Van Dyck e finirà con Rubens. Per l’Italia vi sono due spazi separati: da una parte da Giotto a Tiziano, dall’altra da Caravaggio a Tiepolo. Stiamo pure lavorando ad un catalogo on-line per i quadri antichi, con oltre 500 schede su Internet: mettendo un iPad davanti alla tela si ottiene in un attimo la scheda e la bibliografia del quadro». 

Il Metropolitan sta facendo nuove acquisizioni?  
«Negli ultimi dieci anni abbiamo inserito altrettante opere importanti: alcune sono veri e propri capolavori, altre riempiono dei vuoti. Tra i capolavori, ad esempio, il ritratto di Talleyrand del 1808 donatoci ad agosto dalla signora Wrightsman». 

Come mai gli americani donano tante opere ai musei?  
«Si tratta di una grande tradizione di filantropia che non sostiene solo i musei ma anche l’Opera, l’Università, gli ospedali». 

C’è concorrenza tra i musei?  
«Il mio lavoro è mantenere rapporti costanti e produttivi con l’universo dei collezionisti: oggi i prezzi delle opere d’arte sono sempre più alti e i capolavori sempre più rari, quindi abbordabili esclusivamente da pochi collezionisti d'élite». 

Perché investite anche in arte moderna, visto che a New York c’è già un museo a ciò dedicato?  
«Dal momento che la più grande attività dei collezionisti consiste oggi nell’acquistare soprattutto opere d’arte contemporanee, non interessarsene equivarrebbe a distrarli dal dare il loro sostegno alla nostra realtà. In ogni caso vedere la pittura contemporanea in un museo universale come il Metropolitan è molto diverso rispetto ad altrove: noi cerchiamo una continuità nella storia, mentre il MoMA si occupa soltanto di arte contemporanea». 

Sono cambiati i visitatori negli ultimi anni?  
«Senz’altro. Ad esempio ci sono molte più persone provenienti dall’Oriente». 

Qual è oggi lo spirito delle vostre mostre?  
«Noi desideriamo che rappresentino tutte le varietà presenti al nostro interno: un modo per valorizzare le diverse collezioni». 

Quali sono i musei comparabili al Metropolitan?  
«Senz’altro il Louvre o il complesso dei Musei di Berlino o ancora il British Museum». 

E quali i suoi preferiti?  
«Senz’altro la Pinacoteca di Monaco di Baviera e poi il Prado a Madrid. Ma sono molto affezionato anche a Vienna e a tutti i suoi musei». 

E in ambito italiano?  
«Credo non ci sia nulla di paragonabile al Prado, alla National Gallery di Londra o al Louvre di Parigi. Per di più nessun museo italiano rappresenta interamente l’Italia. Gli Uffizi, i Musei Romani, Brera, Capodimonte a Napoli e la Sabauda a Torino, anche se statali, sono realtà di livello regionale. Il Prado, invece, rappresenta l’identità del Paese e in quanto tale ha un occhio privilegiato da parte dei governanti e dello Stato. Nessuna persona di cultura lascerebbe mai cadere il Prado nel degrado che talvolta accomuna i musei italiani per mancanza di sostegno appunto dello Stato». 

Perché l’Italia non dà soldi alla cultura?  
«La cultura è cambiata, perchè sono cresciuti gli investimenti necessari. Basti pensare che un tempo la Madonna del Parto la si visitava con un custode part-time a cui bisognava chiedere una chiave... I costi della cultura sono molto aumentati e il bilancio per mantenere i luoghi ad essa deputati ne soffre irrimediabilmente. Oggi, del resto, si paga un biglietto anche per entrare nelle chiese, e questo è un cambiamento incredibile rispetto alla mia gioventù». 

Crede che l’arte oggi conti più di una volta?  
«L’apporto del turismo è in merito certamente determinante». 

Negli Stati Uniti si trovano impieghi nel mondo dell’arte?  
«È sempre più difficile, ma meno che in Europa. Ci sono alcune possibilità specie per i più giovani». 

Che cosa si studia di più oggi?  
«Senz’altro l’arte moderna e contemporanea. La storia dell’arte è diventata una disciplina femminile in tutti i Paesi. La qualità dei funzionari attualmente in carica è buona, sono competenti ma c’è un livello medio: all’orizzonte non si vedono delle star».  


Fonte: La Stampa

lunedì 12 novembre 2012

Quando e come il design sconfina nell'arte.

Alcune opere di design di Martino Gamper



Nel paesaggio fluido della creatività contemporanea, è possibile rintracciare tanti approcci diversi al progetto di design. In ogni caso, sembra tramontato in via definitiva quello che per decenni è stato il suo carattere principale e costitutivo: la dimensione industriale e seriale degli artefatti. Nella fase "classica" del design, compresa tra gli anni Trenta e Settanta, l'idea dominante del design coincide con quella della standardizzazione per un mercato omogeneo, e cioè per un'utenza indifferenziata. 
Oggi una falange del design d'arredo intrattiene con la sfera dell'arte un rapporto intrigante e fecondo, anche se non univoco. Crollate le inibizioni dell'età della macchina, nel campo del design rientrano anche gli oggetti in tiratura limitata, o addirittura quelli in esemplare unico, comunque frutto di un'esecuzione rigorosamente hand made. 

In verità, l'osmosi tra i due mondi è complessa e assai variabile. Avviene sia sul piano concettuale sia su quello operativo, senza però declassarsi al puro artigianato. Il design si avvicina all'arte innanzitutto riconoscendo al manufatto un valore altamente espressivo e simbolico. Qui il valore dell'immagine soppianta quello della funzione, specie se si avvale di linguaggi sperimentali. Ad esempio, le creazioni di Martino Gamper piacerebbero molto a Duchamp. Gamper rimonta l'oggetto dopo averne decostruiti altri, in un frenetico readymade che rispecchia, in piccolo, la condizione contemporanea. 

Le scelte materiche non rivestono affatto un ruolo accessorio. Anzi, i materiali rilanciano l'esperienza della tattilità e del coinvolgimento emotivo, caratteri chiaramente lontani dalla neutralità delle plastiche stampate a iniezione. 
Anzi, in molti casi la materia diviene protagonista in quanto portatrice di spunti creativi. Nella prospettiva ecologista, è nel riciclo di elementi dismessi che l'oggetto può assumere la valenza di oggetto unico, frutto peraltro di un percorso esecutivo decisamente manuale. 


Fonte: Exibart

Perché l'arte ci salverà dalla crisi.



Abbiamo un patrimonio artistico e culturale riconosciuto da tutti, ma a differenza di altri Paesi, tendiamo a trascurarlo. Un atteggiamento delittuoso, perché l'arte potrebbe essere un volano straordinario per far ripartire il Paese. 


È certamente interessante discutere di economia internazionale, dell'euro, dei tassi di interesse, perché da quelli dipendiamo, ma non bisogna commettere l'errore di trascurare tutto il resto. Dobbiamo assolutamente valorizzare quello che abbiamo e dare un valore alle nostre eccellenze, quello che cospicuamente non viene fatto invece in Italia, perché alla nostra eccellenza principale, l'arte, assegniamo un valore pari a zero. 

Di solito si tende a pensare che l'economia e l'arte non vadano in parallelo, e invece no. Qualche esempio? L'aggiudicazione record fatta a New York per l'Urlo di Munch. Parliamo di cifre importanti, anche 120 milioni di dollari, che equivalgono a due tonnellate e mezzo di oro. Da noi quadri e capolavori vengono ammassati nei sotterranei di musei, dove nessuno li può vedere; abbiamo parchi archeologici, come quello di Pompei, che farebbero la fortuna di qualsiasi nazione, e invece sono lasciati all'incuria, e non si pensa mai al potenziale indotto che l'arte potrebbe generare. Si stigmatizzano spesso gli sprechi di denaro, ma è uno spreco anche avere un tesoro e non usarlo. 
Siamo soffocati dai debiti, ci disperiamo perché ci mancano i soldi, le risorse per poter andare avanti. Sapere di avere un valore enorme nel nostro territorio, e buttarlo lì, non farlo fruttare, è veramente un peccato. 

Questa settimana a Milano inizia il periodo dedicato alle aste. Ci sono esposizioni della casa d'aste austriaca Dorotheum, poi dopo seguiranno quelle di Sotheby's, e chi vorrà avvicinarsi al mondo del mercato dell'arte potrà entrare liberamente, toccare, vedere con i propri occhi, perché l'arte non è soltanto per ricchi, ci sono quadri d'autore che costano come un bel vestito, ma a differenza di questo, rappresentano un valore nel tempo, regalano ogni giorno quello che noi appassionati di mercato dell'arte definiamo il dividendo estetico, vale a dire la bellezza che ci rende più felici e migliora la nostra qualità della vita. 
A Novembre, gli appuntamenti legati al mercato dell'arte sono numerosi, è in corso in questo momento a Firenze Florence, una serie di conferenze e incontri aventi per tema l'arte. Inoltre, tra poco a Milano partirà l’Art For Business Forum, incentrato sulle possibilità dell'arte di migliorare la produttività e l'incrocio tra arte e impresa, e poi come dicevo a fine novembre le aste d'arte contemporanea. 
E' un modo per capire quanto valore ci sia tutto intorno a noi, tante volte dimenticato, trascurato, sprecato, mentre all'estero c'è piena contezza del valore dell'arte. Per noi non puntarci è assolutamente delittuoso.

Qual è stato l'effetto della crisi economica sull'arte? Quest'ultima potrebbe essere un volano per uscire dalla crisi? 
Con la crisi il mercato dell'arte in Italia si è fermato, anche quel poco che stava iniziando a partire si è bloccato, perché c'è il timore di esporsi e subire controlli fiscali. A ben pensarci è grottesco, perché se io compro un milione di Euro di buoni del tesoro nessuno viene a puntarmi il dito contro, mentre se spendo un milione di Euro per un bel quadro mi sto concedendo un lusso. In realtà, se sono un evasore e ho ottenuto questo milione di Euro con metodi illeciti dovrei essere individuato in tutte e due i casi. 

Dunque si va a colpire quello che potenzialmente potrebbe essere utile, mentre si dovrebbe fare esattamente il contrario: utilizzare l'arte come un volano per l'uscita dalla crisi, incentivando le esportazioni. Allo stato attuale ad esempio, avendo un trenta per cento di svantaggio di valuta non possiamo competere con i tedeschi e la loro capacità di fabbricare prodotti di alto livello tecnologico, ma potremmo essere realmente competitivi valorizzando la nostra arte, i nostri beni culturali, portando gente a vederli, propagandandoli, facendo merchandising, creando consapevolezza, valore, e in definitiva posti di lavoro e benessere. 
Un caso emblematico è quello di Bilbao, una città che era in crisi profondissima, con una situazione di fortissimo disagio sociale. Come ne sono venuti fuori? Facendo il Guggheneim, un museo bellissimo che è diventato un'attrazione grazie al quale la città è rifiorita. 
Lì hanno creato dal niente, noi invece dovremmo semplicemente gestire meglio l'esistente e creeremmo lavoro, invece di fare miliardi di sprechi. Se Pompei diventasse totalmente fruibile e totalmente gestibile, come meriterebbe un luogo così unico, quanti posti di lavoro si creerebbero? Quanti capitali si attirerebbero? 


Fonte: Cado in piedi – di Claudio Borghi Aquilini

sabato 10 novembre 2012

Arte e paesaggio: più che risorse sono la nostra identità.




In Italia abbiamo uno straordinario patrimonio culturale composto da musei, monumenti, chiese, bellezze naturali. Si tratta di un patrimonio unico, frutto di una storia che ha lasciato infinite testimonianze, difficilmente riscontrabili in altri Paesi. Questa memoria costituisce probabilmente la sintesi più eloquente della nostra unità nazionale. Già secoli fa, diversi Stati della penisola italiana si erano sentiti responsabili verso un tessuto così complesso, costituito non solo da emergenze di straordinario interesse storico-artistico e naturalistico, ma anche da una molteplicità di centri minori ricchi di storia e di arte. Insomma, l'Italia ha ben presto compreso di essere un museo diffuso da salvaguardare. Secondo questa consapevolezza, il passato è sempre stato fonte di ispirazione per il futuro: pensiamo solo a come il Rinascimento ha interpretato il mondo greco-romano. Tuttavia, a partire dal secondo dopoguerra qualcosa è cambiato. L'Italia ha vissuto, e il fenomeno non cessa di diminuire, all'insegna del brutto, dell'abbandono sistematico delle proprie testimonianze. C'è stato un vero e proprio assalto al patrimonio culturale. Incuria, degrado, distruzioni. Dal Nord al Sud, l'Italia sembra avvolta da una frenesia di delirio vandalico che non risparmia nulla, né siti archeologici, né centri storici e tantomeno coste e litorali. Una vera follia. L'Italia oggi può a pieno titolo riconoscersi unita nella volontà sistematica di cancellare la propria storia. È sufficiente uscire dai centri di città d'arte come Roma o Napoli, per assistere agli stupri del paesaggio, alle mostruose periferie, a una cementificazione che ha preso d'assalto tutto il territorio nazionale. Molti splendidi centri storici, soprattutto nel Sud, si sono svuotati, con la conseguenza che si sono venuti a creare periferie come immensi e squallidi dormitori, simboli di alienazione e di isolamento. Abbrutimento culturale? Inciviltà? Già Pasolini segnalava inascoltato questo dramma tanti decenni fa. E nulla si è fatto. Distruggere quanto ci è stato tramandato non è solo un atto contro se stessi, ma è segno di perdita di significato, di volontà di negare la dignità di un popolo. Di fatto, ci siamo trovati di fronte a classi politiche rozze e prive di cultura, attente ad assecondare il loro elettorato, concedendo tutte le licenze possibili a scapito di un'edificazione senza controlli. Non solo, il Ministero dei Beni Culturali è stato spesso ininfluente dal punto di vista della scarsità dei finanziamenti economici e delle competenze. Chi di noi non ricorda le prodezze dell'ormai celebre ex ministro dei Beni Culturali Vincenza Bono Parrino? Quando penso all'incapacità di conservazione e di valorizzazione del nostro patrimonio, non considero solo i casi eclatanti di Pompei (crolli continui, milioni di euro spesi per "rifare" il teatro antico con cordoli di cemento armato e mattoni di tufo, sic!) o di altri siti archeologici continuamente minacciati dalla speculazione immobiliare o dalle costruzioni abusive (tanto prima o poi ci sarà un condono edilizio!), ma il triste stato in cui versano tantissimi monumenti, sempre più decontestualizzati dal loro ambiente originario e che si ritrovano oggi a essere miseri superstiti in mezzo a selve barbariche di cemento. Oggi si parla molto di giacimenti culturali. La cultura, si dice, sarebbe il nostro petrolio, un bene che l'Italia potrebbe sfruttare economicamente. Tuttavia, anche da questo punto di vista non si è fatto nulla, perché non si è voluto investire seriamente. Non si è mai puntato sulle infrastrutture, sulla formazione. Anzi, le distruzioni avvenute rendono ormai impossibile qualunque sviluppo. Non solo. Se parlare in termini di giacimenti culturali è flatus vocis, non si parla mai di beni culturali (e di paesaggio) come una risorsa etica e collettiva. Per una civiltà che si reputi tale, i beni culturali non possono essere strumentalizzati a fini economici, ma devono costituire l'identità riconosciuta di un popolo. Come scrive Marc Fumaroli: «Lo Stato tradisce se stesso e smantella se stesso se, dimenticando i suoi interessi fondamentali, comincia a vedere il patrimonio che ha il compito di conservare, di accrescere e di far apprezzare e comprendere al maggior numero di persone, nell'ottica del rendimento economico, della venalità finanziaria e dello sfruttamento a fini diversi dall'interesse civico e pubblico che deve servire». Tramandare il proprio passato è un fatto di civiltà, di umanità. Perché non ci può essere futuro, senza memoria delle proprie origini.


Fonte: Avvenire – di Andrea Dall’Asta

venerdì 9 novembre 2012

Meno tasse per l’arte?




Coerente con quanto stabilito nel 1982, la Francia rinuncia a tassare le opere d’arte che rientrano nel patrimonio dei più ricchi cittadini. L’insidia stava in un emendamento proposto da un parlamentare socialista, il sistema culturale si è subito ribellato e il governo ha confermato l’esenzione dell’arte dalla tassazione dei patrimoni. Che le tasse facessero male all’arte lo aveva già scritto Keynes nel 1936, in tempi non ossessionati dalla chimera delle sponsorizzazioni, che invece continuano a catalizzare quel poco di discussione sul tema che ancora sopravvive in Italia. A ben guardare nel labirinto tributario del nostro Paese si scoprono varie cose: la legislazione sull’esenzione fiscale è davvero generosa ma pervasa da cavilli, quello che manca per il sostegno societario è la motivazione, cosa del tutto comprensibile in un sistema soffocato da formalismi e burocrazia; l’imposta sul valore aggiunto, imparzialmente salata e non sempre armonizzata con le aliquote del resto d’Europa, tende a omogeneizzare l’arte e la cultura (pensiamo ai libri e ai dischi, ahimè) con qualsiasi prodotto manifatturiero; le imposte sugli immobili e sui redditi da lavoro ignorano la specificità delle attività e delle professioni culturali, soprattutto il loro infungibile apporto alla qualità della vita urbana. Qui non si tratta di abolire la tassazione ma di ridisegnarne struttura e dinamiche in modo da non gravare stupidamente su un settore produttivo che genera sicuramente una cascata di effetti positivi e soprattutto può inoculare nell’intera economia l’enzima della creatività e dell’innovazione, la sintassi della cooperazione progettuale, la grammatica dell’ascolto reciproco e del dialogo multiculturale. Liberando la cultura dal giogo tributario si potrebbero stimolare energie che altrimenti si spostano su altre attività o semplicemente emigrano. La questione non è soltanto tecnica. Prima ancora, è culturale: capire il valore dell’arte e l’importanza della sua circolazione e diffusione non è un gesto di dotta benevolenza, ma un’accorta strategia di crescita civile ed economica. Se il governo se ne accorgesse potrebbe finalmente mostrare che un regime fiscale leggero e incisivo vale molto più delle frasi da bacio perugina che tuttora pervadono il lamentoso dibattito sulla cultura italiana.


Fonte: Tafter – di Michele Trimarchi 

Il destino delle banche è diventare musei.




Nel novembre 2011 Intesa Sanpaolo aveva inaugurato con grande successo le sue Gallerie di piazza Scala con il percorso dell’Ottocento (200 opere da Canova a Boccioni), ordinato da Fernando Mazzocca negli antichi palazzi della banca in via Manzoni. Se quelle erano in grande maggioranza opere di proprietà di Fondazione Cariplo, ora che è la volta del pieno XX secolo il curatore, Francesco Tedeschi, ha attinto alla sola, ricchissima collezione di arte italiana degli anni tra il 1950 e la fine del secolo di proprietà di Intesa Sanpaolo. «Cantiere del ’900» è il titolo di questo nuovo itinerario, che trova posto nel sontuoso palazzo contiguo ai primi, affacciato su piazza Scala e progettato nel primo Novecento da Luca Beltrami per ospitare la sede centrale della Banca Commerciale. Sui suoi spazi è ora intervenuto Michele De Lucchi, che ha integrato nel percorso anche il caveau, trasformandolo in un deposito visitabile di grande suggestione. Ma, come era stato auspicato già l’anno scorso, ha voluto fare di questo museo anche un luogo d’incontro per milanesi e turisti, aprendo, all’angolo tra la piazza e via Manzoni, un bookshop e una grande caffetteria, che si aggiungerà alla piccola caffetteria interna e che offrirà un nuovo punto d’attrazione nel cuore della città, proprio di fronte al Teatro alla Scala.
Con i nuovi spazi, le Gallerie di piazza Scala raggiungono gli 8.300 metri quadrati, distribuiti tra i tre palazzi aristocratici nei quali si snoda la collezione dell’Ottocento (Palazzo Anguissola, neoclassico, e i palazzi Antona Traversi e Brentani, del primo Ottocento) e l’edificio appena inaugurato, vero palinsesto dell’architettura milanese e dell’arte italiana degli ultimi due secoli. In questo percorso attraverso il secondo Novecento, Francesco Tedeschi ha riunito 189 opere (12 sezioni, due ouverture e due percorsi monografici) delle più signicative linee di ricerca attraversate dai protagonisti dell’arte italiana del secolo passato.
Per la didattica, Francesca Pola ha curato i supporti multimediali per i visitatori e Civita ha messo a punto un programma di visite guidate per adulti e laboratori didattici per le scuole, tutti gratuiti, che si aggiungono alle audioguide gratuite in nove lingue, anche in versione iPod.

Fonte: Il Giornale dell'Arte

giovedì 8 novembre 2012

"Che brutta l'architettura sacra contemporanea": così sentenzia Sgarbi.

Chiesa di San Giacomo di Massimiliano Fuksas a Foligno



Da un’intervista al critico d'arte Vittorio Sgarbi a cura di Giacomo Galeazzi per “Vatican Insider”.


"Meglio una capanna delle cattedrali contemporanee. Il modello è Joseph Ratzinger". Il critico e storico dell’arte, Vittorio Sgarbi punta l'indice contro la "pessima architettura sacra" che "allontana i credenti invece di avvicinarli alla fede".

Cosa non le piace nelle chiese degli archistar?
"Ho lavorato con monsignor Carlo Chenis alla straordinaria ristrutturazione dellla cattedrale di Noto. Quella è grande architettura sacra, non il delirio di onnipotenza di quasi tutti gli architetti contemporanei che dagli anni Settanta in poi seminano bruttezza. Sono credente e ho sempre considerato la religione cristiana il fondamento della nostra civiltà, perciò non posso restare in silenzio davanti all'eliminazione dal punto di vista morfologico di elementi costitutivi per quindici secoli degli edifici sacri quali la cupola e la volta. Elementi-simbolo del paradiso".

Qual è l'assenza che lei denuncia?
"E' l'assenza di quelle forme che portano il cielo nello spazio della chiesa. Nella pittura e nell'architettura manca il richiamo alla dimensione celeste. La colpa è delle prevaricazioni formali e del narcisismo di architetti che pensano in questo modo di superare le tipologie tradizionali. Ne è una dimostrazione terrificante la chiesa costruita a Foligno da Massimiliano Fuksas. Dovendo fare architetture nuove, non rispondono a richieste di necessità formali. Tranne Mario Motta tutti gli altri architetti si sono arrampicati su strutture prive di senso. Chi visita la cattedrale di Siracusa, per esempio, resta sconcertato dal delirio di onnipotenza, dall'esaltazione dionisiaca dell'architetto. E' meglio qualunque capanna"

Di chi è la colpa?
"Dell'ateismo degli architetti contemporanei. A differenza di ciò che è accaduto per mille e cinquecento anni, non sono in grado di trasformare il valore spirituale in valore formale. Non riescono a farlo perché non hanno fede. Bisogna approfondire in che modo gli artisti contemporanei percepiscono il rapporto con il divino. Dobbiamo capire da dove nasce la difficoltà di rappresentare oggi i temi della cristianità che per secoli sono stati la prima fonte di ispirazione artistica. Eppure l’artista non è un semplice mediatore o strumento della volontà di Dio ma divinità egli stesso, in quanto creatore dell’opera d’arte, non è uno sciamano  ma riesce ad essere Dio stesso. L’artista è Dio, e in quanto Dio egli manifesta la divinità immanente, la divinità che cammina per strada".

Quindi senza fede non c'è arte sacra?
"Ho focalizzato l'attenzione da tempo sulle prove realizzate da architetti, pittori e scultori, mettendone in luce limiti e slanci per scoprire che l'"ombra del divino" è la condizione in cui gli artisti si muovono quando si confrontano con il sacro. La decorazione per la cattedrale di Noto, ricostruita dopo il crollo del 1996, ha rappresentato l'occasione per tornare a parlare di arte sacra in un'epoca che sembra aver rinunciato al cielo. Ricordando la condizione privilegiata dell'artista, va indicata la strada per ripensare al divino come impulso vitale per l'arte contemporanea, punto di partenza e suo compimento".

Come porvi rimedio?
"Deve tornare centrale nel dibattito culturale il legame imprescindibile tra arte, bellezza e ricerca del significato ultimo dell’esistenza umana. Mi rendo conto che è un dibattito in netta controtendenza con il pensiero dominante dei nostri giorni, che vorrebbe ridurre l’arte a fonte di emozioni forti e sensazioni scioccanti. Ritengo, invece, che nell’esperienza artistica vi sia un percorso di conoscenza, una via privilegiata per accostarsi al divino. Il modello da seguire è la “teologia della liturgia” di Benedetto XVI. Così va reimpostato il rapporto tra architettura sacra e fede nel contemporaneo, Ovviamente il ruolo della bellezza non è patrimonio esclusivo dell’arte figurativa ma insita anche nell’astratto (dove esprime «l’idea assoluta di un Dio che è dentro di noi»), però bisogna riconsiderare la figura dell’artista in relazione al divino".