sabato 10 novembre 2012

Arte e paesaggio: più che risorse sono la nostra identità.




In Italia abbiamo uno straordinario patrimonio culturale composto da musei, monumenti, chiese, bellezze naturali. Si tratta di un patrimonio unico, frutto di una storia che ha lasciato infinite testimonianze, difficilmente riscontrabili in altri Paesi. Questa memoria costituisce probabilmente la sintesi più eloquente della nostra unità nazionale. Già secoli fa, diversi Stati della penisola italiana si erano sentiti responsabili verso un tessuto così complesso, costituito non solo da emergenze di straordinario interesse storico-artistico e naturalistico, ma anche da una molteplicità di centri minori ricchi di storia e di arte. Insomma, l'Italia ha ben presto compreso di essere un museo diffuso da salvaguardare. Secondo questa consapevolezza, il passato è sempre stato fonte di ispirazione per il futuro: pensiamo solo a come il Rinascimento ha interpretato il mondo greco-romano. Tuttavia, a partire dal secondo dopoguerra qualcosa è cambiato. L'Italia ha vissuto, e il fenomeno non cessa di diminuire, all'insegna del brutto, dell'abbandono sistematico delle proprie testimonianze. C'è stato un vero e proprio assalto al patrimonio culturale. Incuria, degrado, distruzioni. Dal Nord al Sud, l'Italia sembra avvolta da una frenesia di delirio vandalico che non risparmia nulla, né siti archeologici, né centri storici e tantomeno coste e litorali. Una vera follia. L'Italia oggi può a pieno titolo riconoscersi unita nella volontà sistematica di cancellare la propria storia. È sufficiente uscire dai centri di città d'arte come Roma o Napoli, per assistere agli stupri del paesaggio, alle mostruose periferie, a una cementificazione che ha preso d'assalto tutto il territorio nazionale. Molti splendidi centri storici, soprattutto nel Sud, si sono svuotati, con la conseguenza che si sono venuti a creare periferie come immensi e squallidi dormitori, simboli di alienazione e di isolamento. Abbrutimento culturale? Inciviltà? Già Pasolini segnalava inascoltato questo dramma tanti decenni fa. E nulla si è fatto. Distruggere quanto ci è stato tramandato non è solo un atto contro se stessi, ma è segno di perdita di significato, di volontà di negare la dignità di un popolo. Di fatto, ci siamo trovati di fronte a classi politiche rozze e prive di cultura, attente ad assecondare il loro elettorato, concedendo tutte le licenze possibili a scapito di un'edificazione senza controlli. Non solo, il Ministero dei Beni Culturali è stato spesso ininfluente dal punto di vista della scarsità dei finanziamenti economici e delle competenze. Chi di noi non ricorda le prodezze dell'ormai celebre ex ministro dei Beni Culturali Vincenza Bono Parrino? Quando penso all'incapacità di conservazione e di valorizzazione del nostro patrimonio, non considero solo i casi eclatanti di Pompei (crolli continui, milioni di euro spesi per "rifare" il teatro antico con cordoli di cemento armato e mattoni di tufo, sic!) o di altri siti archeologici continuamente minacciati dalla speculazione immobiliare o dalle costruzioni abusive (tanto prima o poi ci sarà un condono edilizio!), ma il triste stato in cui versano tantissimi monumenti, sempre più decontestualizzati dal loro ambiente originario e che si ritrovano oggi a essere miseri superstiti in mezzo a selve barbariche di cemento. Oggi si parla molto di giacimenti culturali. La cultura, si dice, sarebbe il nostro petrolio, un bene che l'Italia potrebbe sfruttare economicamente. Tuttavia, anche da questo punto di vista non si è fatto nulla, perché non si è voluto investire seriamente. Non si è mai puntato sulle infrastrutture, sulla formazione. Anzi, le distruzioni avvenute rendono ormai impossibile qualunque sviluppo. Non solo. Se parlare in termini di giacimenti culturali è flatus vocis, non si parla mai di beni culturali (e di paesaggio) come una risorsa etica e collettiva. Per una civiltà che si reputi tale, i beni culturali non possono essere strumentalizzati a fini economici, ma devono costituire l'identità riconosciuta di un popolo. Come scrive Marc Fumaroli: «Lo Stato tradisce se stesso e smantella se stesso se, dimenticando i suoi interessi fondamentali, comincia a vedere il patrimonio che ha il compito di conservare, di accrescere e di far apprezzare e comprendere al maggior numero di persone, nell'ottica del rendimento economico, della venalità finanziaria e dello sfruttamento a fini diversi dall'interesse civico e pubblico che deve servire». Tramandare il proprio passato è un fatto di civiltà, di umanità. Perché non ci può essere futuro, senza memoria delle proprie origini.


Fonte: Avvenire – di Andrea Dall’Asta

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