In Italia abbiamo uno straordinario patrimonio culturale composto da
musei, monumenti, chiese, bellezze naturali. Si tratta di un patrimonio unico,
frutto di una storia che ha lasciato infinite testimonianze, difficilmente
riscontrabili in altri Paesi. Questa memoria costituisce probabilmente la
sintesi più eloquente della nostra unità nazionale. Già secoli fa, diversi
Stati della penisola italiana si erano sentiti responsabili verso un tessuto
così complesso, costituito non solo da emergenze di straordinario interesse
storico-artistico e naturalistico, ma anche da una molteplicità di centri
minori ricchi di storia e di arte. Insomma, l'Italia ha ben presto compreso di
essere un museo diffuso da salvaguardare. Secondo questa consapevolezza, il
passato è sempre stato fonte di ispirazione per il futuro: pensiamo solo a come
il Rinascimento ha interpretato il mondo greco-romano. Tuttavia, a partire dal
secondo dopoguerra qualcosa è cambiato. L'Italia ha vissuto, e il fenomeno non
cessa di diminuire, all'insegna del brutto, dell'abbandono sistematico delle
proprie testimonianze. C'è stato un vero e proprio assalto al patrimonio
culturale. Incuria, degrado, distruzioni. Dal Nord al Sud, l'Italia sembra
avvolta da una frenesia di delirio vandalico che non risparmia nulla, né siti
archeologici, né centri storici e tantomeno coste e litorali. Una vera follia.
L'Italia oggi può a pieno titolo riconoscersi unita nella volontà sistematica
di cancellare la propria storia. È sufficiente uscire dai centri di città
d'arte come Roma o Napoli, per assistere agli stupri del paesaggio, alle
mostruose periferie, a una cementificazione che ha preso d'assalto tutto il
territorio nazionale. Molti splendidi centri storici, soprattutto nel Sud, si
sono svuotati, con la conseguenza che si sono venuti a creare periferie come
immensi e squallidi dormitori, simboli di alienazione e di isolamento.
Abbrutimento culturale? Inciviltà? Già Pasolini segnalava inascoltato questo
dramma tanti decenni fa. E nulla si è fatto. Distruggere quanto ci è stato
tramandato non è solo un atto contro se stessi, ma è segno di perdita di
significato, di volontà di negare la dignità di un popolo. Di fatto, ci siamo
trovati di fronte a classi politiche rozze e prive di cultura, attente ad
assecondare il loro elettorato, concedendo tutte le licenze possibili a scapito
di un'edificazione senza controlli. Non solo, il Ministero dei Beni Culturali è
stato spesso ininfluente dal punto di vista della scarsità dei finanziamenti
economici e delle competenze. Chi di noi non ricorda le prodezze dell'ormai
celebre ex ministro dei Beni Culturali Vincenza Bono Parrino? Quando penso
all'incapacità di conservazione e di valorizzazione del nostro patrimonio, non
considero solo i casi eclatanti di Pompei (crolli continui, milioni di euro
spesi per "rifare" il teatro antico con cordoli di cemento armato e
mattoni di tufo, sic!) o di altri siti archeologici continuamente minacciati
dalla speculazione immobiliare o dalle costruzioni abusive (tanto prima o poi
ci sarà un condono edilizio!), ma il triste stato in cui versano tantissimi
monumenti, sempre più decontestualizzati dal loro ambiente originario e che si
ritrovano oggi a essere miseri superstiti in mezzo a selve barbariche di
cemento. Oggi si parla molto di giacimenti culturali. La cultura, si dice,
sarebbe il nostro petrolio, un bene che l'Italia potrebbe sfruttare
economicamente. Tuttavia, anche da questo punto di vista non si è fatto nulla,
perché non si è voluto investire seriamente. Non si è mai puntato sulle
infrastrutture, sulla formazione. Anzi, le distruzioni avvenute rendono ormai
impossibile qualunque sviluppo. Non solo. Se parlare in termini di giacimenti
culturali è flatus vocis, non si parla mai di beni culturali (e di paesaggio)
come una risorsa etica e collettiva. Per una civiltà che si reputi tale, i beni
culturali non possono essere strumentalizzati a fini economici, ma devono
costituire l'identità riconosciuta di un popolo. Come scrive Marc Fumaroli: «Lo
Stato tradisce se stesso e smantella se stesso se, dimenticando i suoi
interessi fondamentali, comincia a vedere il patrimonio che ha il compito di
conservare, di accrescere e di far apprezzare e comprendere al maggior numero
di persone, nell'ottica del rendimento economico, della venalità finanziaria e
dello sfruttamento a fini diversi dall'interesse civico e pubblico che deve
servire». Tramandare il proprio passato è un fatto di civiltà, di umanità.
Perché non ci può essere futuro, senza memoria delle proprie origini.
Fonte:
Avvenire – di Andrea Dall’Asta
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