mercoledì 19 aprile 2017

Dal 29 aprile alla Galleria Lo Magno di Modica in mostra Francesco Balsamo con "Dei passaggi e dei culmini"


29 aprile – 27 maggio 2017

Galleria Lo Magno
Via Risorgimento, 91 / 93 – Modica (RG)

Vernissage: 29 aprile 2017 ore 19

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L’artista siciliano presenterà, attraverso i 71 disegni in mostra, l’ultimo periodo creativo frutto del connubio fra disegno e poesia.



Sabato 29 aprile 2017 sarà inaugurata alla Galleria Lo Magno arte contemporanea di Modica la mostra “Dei passaggi e dei culmini” di Francesco Balsamo.
L’artista (Catania, 1969) presenterà 71 disegni di piccolo formato realizzati a matita, tempera e collage; un inventario di forme, di oggetti, di corpi, in “movimenti” (o relazioni), spesso sfuggenti, non espliciti, addirittura “invisibili”. Sono insomma le premesse dello scrivere in versi che trovano nel lavoro recente dell’artista il loro equivalente figurativo. Balsamo è poeta e disegnatore, e i suoi fogli, scritti o disegnati, accolgono “naturali e perplessi mondi attraversati”.

In occasione della mostra verrà pubblicato un libro/catalogo intitolato “Album dei passaggi e dei culmini”, con una nota di Tobia S. Conti.
“I fatti di disegnare e gli atti di scrivere, nel lavoro di Francesco Balsamo – scrive Conti - sono il tratteggio del tempo, in una sottrazione, probabilmente, senza scampo; una perdita delle cose del mondo, in frammenti sparsi. Una sottrazione che con naturalezza fa la poesia […] Un foglio di carta è un sismografo, un accogli-mano, uno spazza-tempo […] è tutto lì e allo stesso tempo non è vero, è atto a sparire”.

La mostra rimarrà allestita fino al 27 maggio e potrà essere visitata dal martedì al sabato dalle ore 10 alle 13 e dalle 16 alle 20.


Biografia
Nel lavoro di Francesco Balsamo si affiancano disegno e scrittura in versi.
Ha pubblicato: “Appendere l'ombra a un chiodo” (“7 Poeti del Premio Montale”, Crocetti 2002); “Discorso dell'albero alle sue foglie” (Stamperia dell'Arancio 2003); “Ortografia della neve” (Incerti editori 2010); “Tre bei modi di sfruttare l’aria” (Forme Libere 2013); “Cresce a mazzetti il quadrifoglio” (Ponte del Sale 2015).
Il suo primo libro di disegni è “Non copiare dagli occhi” (Incerti editori 2012).
Dal 2003 numerose le sue partecipazioni a mostre personali e collettive in Italia e in Europa.


Informazioni:
Galleria Lo Magno – Via Risorgimento 91 / 93 – Modica (RG)
Vernissage: 29 aprile 2017, ore 19
Titolo della mostra: "Dei passaggi e dei culmini"
Artista: Francesco Balsamo
Periodo: 29 aprile 2017 – 27 maggio 2017
Orari: dal martedì al sabato ore 10 – 13 / 16 – 20

Contatti
e-mail info@gallerialomagno.it
tel. +39 0932 763165

Addetto stampa, Comunicazione e Relazioni Pubbliche
Giovanni Scucces


Francesco Balsamo - Dei passaggi e dei culmini, 2016
matita, tempera e collage su carta, cm 36 x 27,5 (serie di 71 disegni)
[courtesy l'artista e Galleria Lo Magno]

Francesco Balsamo - Dei passaggi e dei culmini, 2016
matita, tempera e collage su carta, cm 36 x 27,5 (serie di 71 disegni)
[courtesy l'artista e Galleria Lo Magno]

lunedì 10 aprile 2017

L’evoluzione del concetto di arte nel corso dei secoli




Ecco di seguito un ampio estratto di un interessante articolo di Pierluigi Panza pubblicato sul Corriere della Sera col titolo “Emozioni e conoscenza, ecco l’arte. Una sintesi sensibile della realtà, per presentare il lancio di una nuova collana editoriale dedicata ai grandi dell’arte. Mi sembra un’ottima sintesi, concisa ed esauriente al tempo stesso, sull’evoluzione del concetto di arte nel corso dei secoli.

Quando gli posero la domanda «Che cos’è l’arte», un anziano docente di Estetica, Dino Formaggio, rispose: «È tutto ciò che gli uomini hanno chiamato arte». È una tautologia (ovvero un’affermazione vera per definizione, quindi priva di valore conoscitivo), ma le cose stanno proprio così. Sotto il termine arte noi raduniamo «oggetti particolari» nati per assolvere funzioni diverse e che sono stati realizzati con tempi, modi, economie differenti legate alla propria epoca.

Se trascuriamo gli aspetti divinatori, celebrativi e testimoniali della statuaria classica, al termine del Medioevo, l’arte è un corrispettivo figurativo delle reliquie. Presso un’umanità che non sa leggere e scrivere, l’esposizione di una reliquia oppure la raffigurazione di un martirio o di un evento delle Sacre Scritture assolvono al compito d’indurre alla fede e di offrire una speranza.

Nell’Umanesimo s’incominciano a costruire i primi «sistemi delle arti», ovvero i tentativi di definire il perimetro dell’arte. L’erudito fiorentino Benedetto Varchi, nel 1546, enumerava nel suo sistema un’ampia gamma di discipline divise in arti del fare che rimangono (pittura, scultura) e che non rimangono (le arti performative come la danza, il cavalcare...), in arti che imitano o vincono la natura (architettura) e in altre che avviano l’opera della natura (agricoltura, giardinaggio). Nel sistema dell’erudito Francesco de’ Vieri trovavano posto l’arte della lana e della seta (gli stilisti di oggi), la medicina (la chirurgia estetica), l’arte di raffinare le gioie e i metalli (l’oreficeria). Nel sistema del veneto Sperone Speroni, l’arte è ricondotta ai cinque sensi: esiste l’arte degli unguentari per il naso, l’arte del cuoco per il gusto, l’arte della stufa per il tatto, della pittura per gli occhi e della musica per le orecchie.

L’accentuazione sul tema del «piacere», ovvero sulla capacità di un’opera di stupire e sconvolgere i sentimenti, nasce nel Seicento, quando il teorico Dominique Bouhours affida all’arte la necessità di originare «qualcosa che sorprende». Lo stesso dicasi per Nicolas Boileau, che nella sua Art poétique (1674) affidava all’arte «il segreto di piacere e commuovere». L’arte barocca si gioca su questi principi.

L’idea che l’arte, come alcuni fenomeni della natura (temporali, terremoti...) debba sconvolgere l’animo nasce con la teoria del sublime dell’irlandese Edmund Burke nel 1757: l’arte è ciò che genera emozione, timore, novità, unitamente a bizzarria. Ecco che allora dominano i paesaggisti, le marine, Turner o opere come The Nightmare di Füssli, annuncio di quello che l’arte diventerà con Freud: scoperta del proprio Io.

Dalla metà del Settecento, quando l’arte si incomincia anche a studiare nelle accademie, le arti si consolidano come cinque: le tre vasariane arti del disegno (pittura, scultura, architettura) più poesia e musica, talvolta la danza. L’Idealismo e il Romanticismo collocano l’arte su un piano conoscitivo. L’uomo ha tre facoltà: intelligenza (per la scienza), memoria (storia) e fantasia (che è il regno dell’arte). L’arte disvela la conoscenza attraverso una sintesi sensibile, l’opera, che ci fornisce in sintesi ciò che la scienza raggiunge per congetture e confutazioni. L’arte dell’Ottocento e persino i pre impressionisti sono questo.

L’Avanguardia d’inizio Novecento rompe con questa tradizione e colloca l’arte nel campo concettuale. Essa non deve più rappresentare, ma disvelare attraverso l’opera i meccanismi che portano alla sua stessa conoscenza. Ogni opera risponde alla domanda «che cos’è un’opera d’arte»? Tutto, risponde Duchamp, anche un orinatoio; l’opera è l’artista, gli fa eco Piero Manzoni presentando la sua «merda»; l’arte è andare oltre l’arte e per questo taglio la tela, dice Lucio Fontana.

E oggi? Nel momento la scienza riconosce la relatività dei propri paradigmi assimilandoli a quelli della creazione artistica (da Popper a Feyerabend), l’arte si è consegnata al dominio della tecnica e del capitalismo finanziario. Si dispone come una sorta di o cedola simbolica intorno alla quale ricchi magnati costruiscono valore finanziario di scambio. Come per gli altri «miti moderni» anche il valore dell’arte è costruito dai media e dal relativo controllo finanziario. La capacità di un’opera di scioccare o di essere in grado di suggerire uno storytelling diventa la base di lavoro per la sua vetrinizzazione. L’arte è diventata così fenomeno d’intrattenimento o marchio di riconoscimento delle élite.

lunedì 3 aprile 2017

Con la fotografia alla riscossa l'arte si scopre democratica


Un mercato in crescita grazie a quotazioni meno irraggiungibili e alla sua vocazione pop. E intanto si moltiplicano le kermesse dedicate tutte o in parte al settore. Da Miami a Milano.

L’opera d’arte che ha fatto della riproducibilità la sua stessa ragione non perde il suo fascino. Anzi, lo guadagna. La fotografia è l’oggetto d’arte che più ci si può permettere ed è ormai alla conquista del mercato. Dagli scatti d’autore al reportage, dalle stampe vintage alla post-produzione, dal bianco e nero ai fotomontaggi. È una galassia complessa e insieme ipnotica. 

Un mondo per addetti ai lavori a caccia di esemplari rari o di maestri, ma anche per neofiti attratti da una forma d’arte che ha due grandi vantaggi: costi (in media) più contenuti e aspetto glamour di una ricerca estetica (spesso) virata verso funzioni di arredo o decoro. Parole che fanno arricciare il naso agli esperti del settore. Ma spiegano bene i valori aggiunti della fotografia che stanno scaldando il mercato e accendendo le luci su una serie di fiere deputate totalmente al mezzo. Come la celebre e storica Paris Photo oppure la neonata Photo London; o, ancora, il MIA di Milano. Ma a questo circuito di kermesse a tema, si sono affiancate, negli ultimi anni, le grandi fiere di arte moderna e contemporanea. Da Miami a Basilea, con Art Basel, da Arco Madrid fino al milanese MiArt, gli stand di fotografia sono aumentati, affiancandosi a quelli tradizionali e scalando le offerte. La sensazione è che non esista più la vecchia scissione fra gallerie che trattano esclusivamente foto e quelle che affondano sui generi classici. È un panorama misto, specchio di una nuova ripartizione del mercato.

Il periodo buio della crisi sembra aver infatti favorito questo ambito, complici le quotazioni più accessibili, rispetto all’effetto intimidatorio di capolavori dai prezzi astronomici. Un fattore che rende democratica l’arte dell’obiettivo è certamente la logica delle tirature, simile a quella della stampa d’arte; si possono acquistare nomi big con valori proporzionati al numero di esemplari in circolo. La cosa non pregiudica la qualità del pezzo, che rimane autografo ma più pop; esattamente come le litografie di Miró rispetto ai suoi quadri: sono multipli, ma firmati. E il ventaglio dei prezzi è ampio. Basti pensare al genere amatissimo delle foto di moda e i ritratti delle star, il cosiddetto "fashion". Helmut Newton da Sotheby’s ha incassato di recente un world record di 670mila euro per un poker delle sue supermodel senza veli. Sul fronte italiano, i nomi storici più amati sono Luighi Ghirri, Olivo Barbieri, Mario Giacomelli.


Estratto da un articolo di Chiara Gatti per “Repubblica”

Luigi Ghirri
Mario Giacomelli
Olivo Barbieri