martedì 13 novembre 2012

Keith Christiansen: “I vostri musei non raccontano tutta l’Italia”.




Keith Christiansen, lei che è curatore d’Arte Europea del Metropolitan Museum di New York, come giudica la situazione all’interno del museo per il quale lavora? 
«Negli ultimi due anni abbiamo superato i sei milioni di visitatori. Siamo in attivo e i nostri progetti fortunatamente vanno tutti avanti».  

È vero che ha preparato un nuovo allestimento per il dipartimento dei quadri antichi?  
«Sì, una serie di gallerie utilizzate per le mostre negli ultimi 30 anni torneranno ad essere spazi di esposizione permanente. Quasi tutte le collezioni saranno riallestite e il lavoro sarà portato a termine a maggio del 2013». 

E avrete più opere esposte?  
«Sì, con nuovi itinerari. Il Nord Europa comincerà con Van Dyck e finirà con Rubens. Per l’Italia vi sono due spazi separati: da una parte da Giotto a Tiziano, dall’altra da Caravaggio a Tiepolo. Stiamo pure lavorando ad un catalogo on-line per i quadri antichi, con oltre 500 schede su Internet: mettendo un iPad davanti alla tela si ottiene in un attimo la scheda e la bibliografia del quadro». 

Il Metropolitan sta facendo nuove acquisizioni?  
«Negli ultimi dieci anni abbiamo inserito altrettante opere importanti: alcune sono veri e propri capolavori, altre riempiono dei vuoti. Tra i capolavori, ad esempio, il ritratto di Talleyrand del 1808 donatoci ad agosto dalla signora Wrightsman». 

Come mai gli americani donano tante opere ai musei?  
«Si tratta di una grande tradizione di filantropia che non sostiene solo i musei ma anche l’Opera, l’Università, gli ospedali». 

C’è concorrenza tra i musei?  
«Il mio lavoro è mantenere rapporti costanti e produttivi con l’universo dei collezionisti: oggi i prezzi delle opere d’arte sono sempre più alti e i capolavori sempre più rari, quindi abbordabili esclusivamente da pochi collezionisti d'élite». 

Perché investite anche in arte moderna, visto che a New York c’è già un museo a ciò dedicato?  
«Dal momento che la più grande attività dei collezionisti consiste oggi nell’acquistare soprattutto opere d’arte contemporanee, non interessarsene equivarrebbe a distrarli dal dare il loro sostegno alla nostra realtà. In ogni caso vedere la pittura contemporanea in un museo universale come il Metropolitan è molto diverso rispetto ad altrove: noi cerchiamo una continuità nella storia, mentre il MoMA si occupa soltanto di arte contemporanea». 

Sono cambiati i visitatori negli ultimi anni?  
«Senz’altro. Ad esempio ci sono molte più persone provenienti dall’Oriente». 

Qual è oggi lo spirito delle vostre mostre?  
«Noi desideriamo che rappresentino tutte le varietà presenti al nostro interno: un modo per valorizzare le diverse collezioni». 

Quali sono i musei comparabili al Metropolitan?  
«Senz’altro il Louvre o il complesso dei Musei di Berlino o ancora il British Museum». 

E quali i suoi preferiti?  
«Senz’altro la Pinacoteca di Monaco di Baviera e poi il Prado a Madrid. Ma sono molto affezionato anche a Vienna e a tutti i suoi musei». 

E in ambito italiano?  
«Credo non ci sia nulla di paragonabile al Prado, alla National Gallery di Londra o al Louvre di Parigi. Per di più nessun museo italiano rappresenta interamente l’Italia. Gli Uffizi, i Musei Romani, Brera, Capodimonte a Napoli e la Sabauda a Torino, anche se statali, sono realtà di livello regionale. Il Prado, invece, rappresenta l’identità del Paese e in quanto tale ha un occhio privilegiato da parte dei governanti e dello Stato. Nessuna persona di cultura lascerebbe mai cadere il Prado nel degrado che talvolta accomuna i musei italiani per mancanza di sostegno appunto dello Stato». 

Perché l’Italia non dà soldi alla cultura?  
«La cultura è cambiata, perchè sono cresciuti gli investimenti necessari. Basti pensare che un tempo la Madonna del Parto la si visitava con un custode part-time a cui bisognava chiedere una chiave... I costi della cultura sono molto aumentati e il bilancio per mantenere i luoghi ad essa deputati ne soffre irrimediabilmente. Oggi, del resto, si paga un biglietto anche per entrare nelle chiese, e questo è un cambiamento incredibile rispetto alla mia gioventù». 

Crede che l’arte oggi conti più di una volta?  
«L’apporto del turismo è in merito certamente determinante». 

Negli Stati Uniti si trovano impieghi nel mondo dell’arte?  
«È sempre più difficile, ma meno che in Europa. Ci sono alcune possibilità specie per i più giovani». 

Che cosa si studia di più oggi?  
«Senz’altro l’arte moderna e contemporanea. La storia dell’arte è diventata una disciplina femminile in tutti i Paesi. La qualità dei funzionari attualmente in carica è buona, sono competenti ma c’è un livello medio: all’orizzonte non si vedono delle star».  


Fonte: La Stampa

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