Keith Christiansen, lei che è
curatore d’Arte Europea del Metropolitan Museum di New York, come giudica la
situazione all’interno del museo per il quale lavora?
«Negli ultimi due anni abbiamo superato i sei milioni di visitatori.
Siamo in attivo e i nostri progetti fortunatamente vanno tutti avanti».
È vero che ha preparato un
nuovo allestimento per il dipartimento dei quadri antichi?
«Sì, una serie di gallerie utilizzate per le mostre negli ultimi 30
anni torneranno ad essere spazi di esposizione permanente. Quasi tutte le
collezioni saranno riallestite e il lavoro sarà portato a termine a maggio del
2013».
E avrete più opere esposte?
«Sì, con nuovi itinerari. Il Nord Europa comincerà con Van Dyck e
finirà con Rubens. Per l’Italia vi sono due spazi separati: da una parte da
Giotto a Tiziano, dall’altra da Caravaggio a Tiepolo. Stiamo pure lavorando ad
un catalogo on-line per i quadri antichi, con oltre 500 schede su Internet: mettendo
un iPad davanti alla tela si ottiene in un attimo la scheda e la bibliografia
del quadro».
Il Metropolitan sta facendo
nuove acquisizioni?
«Negli ultimi dieci anni abbiamo inserito altrettante opere
importanti: alcune sono veri e propri capolavori, altre riempiono dei vuoti.
Tra i capolavori, ad esempio, il ritratto di Talleyrand del 1808 donatoci ad
agosto dalla signora Wrightsman».
Come mai gli americani donano
tante opere ai musei?
«Si tratta di una grande tradizione di filantropia che non sostiene
solo i musei ma anche l’Opera, l’Università, gli ospedali».
C’è concorrenza tra i musei?
«Il mio lavoro è mantenere rapporti costanti e produttivi con
l’universo dei collezionisti: oggi i prezzi delle opere d’arte sono sempre più
alti e i capolavori sempre più rari, quindi abbordabili esclusivamente da pochi
collezionisti d'élite».
Perché investite anche in arte
moderna, visto che a New York c’è già un museo a ciò dedicato?
«Dal momento che la più grande attività dei collezionisti consiste
oggi nell’acquistare soprattutto opere d’arte contemporanee, non interessarsene
equivarrebbe a distrarli dal dare il loro sostegno alla nostra realtà. In ogni
caso vedere la pittura contemporanea in un museo universale come il
Metropolitan è molto diverso rispetto ad altrove: noi cerchiamo una continuità
nella storia, mentre il MoMA si occupa soltanto di arte contemporanea».
Sono cambiati i visitatori
negli ultimi anni?
«Senz’altro. Ad esempio ci sono molte più persone provenienti dall’Oriente».
Qual è oggi lo spirito delle
vostre mostre?
«Noi desideriamo che rappresentino tutte le varietà presenti al nostro
interno: un modo per valorizzare le diverse collezioni».
Quali sono i musei comparabili
al Metropolitan?
«Senz’altro il Louvre o il complesso dei Musei di Berlino o ancora il
British Museum».
E quali i suoi preferiti?
«Senz’altro la Pinacoteca di Monaco di Baviera e poi il Prado a
Madrid. Ma sono molto affezionato anche a Vienna e a tutti i suoi musei».
E in ambito italiano?
«Credo non ci sia nulla di paragonabile al Prado, alla National
Gallery di Londra o al Louvre di Parigi. Per di più nessun museo italiano
rappresenta interamente l’Italia. Gli Uffizi, i Musei Romani, Brera,
Capodimonte a Napoli e la Sabauda a Torino, anche se statali, sono realtà di
livello regionale. Il Prado, invece, rappresenta l’identità del Paese e in
quanto tale ha un occhio privilegiato da parte dei governanti e dello Stato.
Nessuna persona di cultura lascerebbe mai cadere il Prado nel degrado che
talvolta accomuna i musei italiani per mancanza di sostegno appunto dello
Stato».
Perché l’Italia non dà soldi
alla cultura?
«La cultura è cambiata, perchè sono cresciuti gli investimenti
necessari. Basti pensare che un tempo la Madonna del Parto la si visitava con
un custode part-time a cui bisognava chiedere una chiave... I costi della
cultura sono molto aumentati e il bilancio per mantenere i luoghi ad essa
deputati ne soffre irrimediabilmente. Oggi, del resto, si paga un biglietto anche
per entrare nelle chiese, e questo è un cambiamento incredibile rispetto alla
mia gioventù».
Crede che l’arte oggi conti più
di una volta?
«L’apporto del turismo è in merito certamente determinante».
Negli Stati Uniti si trovano
impieghi nel mondo dell’arte?
«È sempre più difficile, ma meno che in Europa. Ci sono alcune
possibilità specie per i più giovani».
Che cosa si studia di più oggi?
«Senz’altro l’arte moderna e contemporanea. La storia dell’arte è
diventata una disciplina femminile in tutti i Paesi. La qualità dei funzionari
attualmente in carica è buona, sono competenti ma c’è un livello medio:
all’orizzonte non si vedono delle star».
Fonte:
La Stampa