Tagli ai budget dei musei, produzioni teatrali ridotte, Ministeri
della Cultura chiusi, e musicisti costretti a sostituire il palco per tour in
crociere di lusso solo per poter mantenere la rendita: la crisi finanziaria
europea ha messo il continente nel suo peggiore periodo dopo la Seconda Guerra
Mondiale, con la disoccupazione che sta raggiungendo il record dalla
creazione della zona euro. Ma mentre i sindacati cercano di mantenere i
benefici sociali e i governi cercano di trovare un modo per sostenere le
industrie, le arti diventano una delle più grandi vittime della politica
di austerità che domina il continente a fronte di debiti colossali.
Storicamente, la cultura europea ha sempre avuto il suo sostegno
economico da individui e istituzioni che riconoscevano l’arte come un mezzo per
dimostrare il loro potere e importanza. Ora però è arrivato il momento in cui
lo Stato deve trasmettere un messaggio chiaro: la cultura deve essere
autosufficiente e non dipendere più dalle risorse pubbliche. Il problema è
che non tutti sono d’accordo e avvertono che non solo la cultura fa parte del
sistema di formazione di base della società europea, ma è anche il patrimonio
storico del continente, e quindi non solo una merce.
Il caso più drammatico è quello del Portogallo. Per accedere
a un piano di salvataggio del FMI e dell’UE, Lisbona ha accettato un rigoroso
programma di austerità. Gli stipendi sono stati ridotti, alcuni giorni festivi
sono stati aboliti, ma nel caso delle arti, il taglio è stato ancora più
espressivo, quando il governo ha deciso nel 2011 di porre fine al
Ministero della Cultura, ora trasformato in un semplice segretariato di Stato.
Davanti questa decisione, il governo portoghese prevede di risparmiare 2,6
miliardi con la riduzione di un terzo del numero dei direttori dei dipartimenti
all’interno dello Stato. La mossa ha fatto però emergere un vero e proprio
tumulto dentro e fuori dal paese davanti alla scelta fatta di sacrificare la
cultura. L’ultimo Ministro della Cultura di Portogallo, Gabriela Canavilhas, ha
dichiarato che la misura era un segno chiaro che Lisbona “non vede più la
cultura come uno dei suoi pilastri.”
La situazione è critica anche a Madrid. Costretto a rivedere i
conti dello Stato e richiedere aiuto, il governo spagnolo di Mariano Rajoy ha
già annunciato che per il 2013 il Prado, il Reina Sofia e il Thyssen-Bornemisza
soffriranno tagli di oltre il 30%. In totale, il governo ridurrà la
sua assistenza ai musei in 17 milioni di euro, anche se negli ultimi quattro
anni il governo spagnolo ha già ridotto il suo sostegno per la cultura del 70%.
Per giustificare tale taglio, il ministro delle Finanze, Cristóbal Montoro, ha
classificato il settore come “area d’intrattenimento”, lasciando la classe
artistica furiosa, accusandolo di non sapere distinguere tra la cultura e
l’hobby. Le biblioteche spagnole avranno una riduzione del 62%. Nel bilancio
per il 2013 e l’ordine è quello di vietare gli acquisti di libri per tutto
l’anno. Nel cinema spagnolo, le risorse all’Istituto d’Arte Cinematografica e
dell’Audiovisivo sono calate dai 106 milioni di euro all’anno nel 2010 ai 68
milioni di euro quest’anno, colpendo così i festival tradizionali come quello
di San Sebastián.
I tagli hanno anche colpito la cultura in Grecia, un paese che
nel 2013 avrà il suo sesto anno consecutivo di contrazione economica e oggi
sopravvive grazie alle risorse del FMI e dell’UE. In un solo anno, il Ministero
della Cultura greco ha avuto il suo budget ridotto della metà. Oltre a incidere
decine di gruppi artistici, il taglio mette anche a rischio la conservazione
dei siti archeologici del paese, una vera miniera d’oro per il turismo.
Purtroppo, alcuni dei principali templi del paese sono sul punto di crollare.
Anche in Italia, uno dei pilastri della culturale occidentale, il
settore è stato gravemente ferito. Il Teatro alla Scala di Milano, per esempio,
ha ben 7 milioni di debito. I funzionari del gruppo di danza, cori e orchestra
del teatro hanno accettato due mesi fa un piano per ridurre i loro stipendi del
10%, a condizione che nessuno sarà licenziato. I tagli permetteranno la
riduzione del debito a 4,5 milioni alla fine dell’esercizio. Per anni, l’aiuto
dello Stato ha garantito le operazioni del teatro ma ora il governo ha dovuto
ridurre gli incentivi, mettendo in pericolo però la produzione artistica del
teatro, sia in termini di qualità, sia di quantità.
Ma i tagli drastici nel settore artistico non sono presenti solo nei
paesi in cui c’è un grave problema di debito. Nel caso dei Paesi Bassi, il
governo ha annunciato un taglio di 265 milioni di dollari il bilancio per la
cultura, una riduzione del 25% nel 2013. In Germania, i canali di TV e le
stazioni di radio più importanti saranno costretti a ridurre le spese di 166
milioni di euro. Nel Regno Unito, la cultura ha affrontato tagli alle
sovvenzioni dell’Arts Council England e al finanziamento delle autorità locali.
Andrew Lloyd-Webber, compositore inglese e impresario del teatro musicale, ha
recentemente avvertito il governo che il loro “grande potenziale creativo è
stato colpito senza alcuna strategia di finanziamento chiara per il futuro a
lungo termine”. Nell’ultimo anno, più della metà dei musei nel Regno Unito ha
avuto i loro budget tagliati, con circa un quarto chiudendo tutti o parte dei
loro siti al pubblico.
Chiaramente, le arti sono ormai percepite dai governi come un
“passatempo”, ma chiunque sia seriamente interessato riequilibrare l’economia
europea dovrebbe occuparsi invece della cultura. Piuttosto che tagliare i
budget, un vero e proprio bilancio per la crescita dovrebbe essere costruito
sulla base di ciò che c’è e che può essere ancora più maturato.
Sicuramente giustificare la spesa per la cultura è piuttosto difficile
in un momento in cui mancano posti di lavoro e fondi per i servizi pubblici di
base, dalla sanità all’istruzione. Conseguentemente, le organizzazioni
culturali europee cercano di adattarsi, concentrandosi più sulla generazione di
reddito attraverso servizi terziari e sulla raccolta fondi, ma purtroppo siamo
arrivati ad un punto in cui ogni euro tagliato è una grave perdita. I governi
europei devono capire però che, rispetto ad altri settori, le somme degli
investimenti culturali sono infinitamente piccole, eppure sono quelle che
possono portare rendimenti incomparabili, sia in capitale, sia in ricchezza
intellettuale.
Fonte:
Tafter - di Julia Ferreira de Abreu
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