venerdì 19 ottobre 2012

Verso un’Europa senza cultura.




Tagli ai budget dei musei, produzioni teatrali ridotte, Ministeri della Cultura chiusi, e musicisti costretti a sostituire il palco per tour in crociere di lusso solo per poter mantenere la rendita: la crisi finanziaria europea ha messo il continente nel suo peggiore periodo dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la disoccupazione che sta raggiungendo il record dalla creazione della zona euro. Ma mentre i sindacati cercano di mantenere i benefici sociali e i governi cercano di trovare un modo per sostenere le industrie, le arti diventano una delle più grandi vittime della politica di austerità che domina il continente a fronte di debiti colossali.
Storicamente, la cultura europea ha sempre avuto il suo sostegno economico da individui e istituzioni che riconoscevano l’arte come un mezzo per dimostrare il loro potere e importanza. Ora però è arrivato il momento in cui lo Stato deve trasmettere un messaggio chiaro: la cultura deve essere autosufficiente e non dipendere più dalle risorse pubbliche. Il problema è che non tutti sono d’accordo e avvertono che non solo la cultura fa parte del sistema di formazione di base della società europea, ma è anche il patrimonio storico del continente, e quindi non solo una merce.
Il caso più drammatico è quello del Portogallo. Per accedere a un piano di salvataggio del FMI e dell’UE, Lisbona ha accettato un rigoroso programma di austerità. Gli stipendi sono stati ridotti, alcuni giorni festivi sono stati aboliti, ma nel caso delle arti, il taglio è stato ancora più espressivo, quando il governo ha deciso nel 2011 di porre fine al Ministero della Cultura, ora trasformato in un semplice segretariato di Stato. Davanti questa decisione, il governo portoghese prevede di risparmiare 2,6 miliardi con la riduzione di un terzo del numero dei direttori dei dipartimenti all’interno dello Stato. La mossa ha fatto però emergere un vero e proprio tumulto dentro e fuori dal paese davanti alla scelta fatta di sacrificare la cultura. L’ultimo Ministro della Cultura di Portogallo, Gabriela Canavilhas, ha dichiarato che la misura era un segno chiaro che Lisbona “non vede più la cultura come uno dei suoi pilastri.”
La situazione è critica anche a Madrid. Costretto a rivedere i conti dello Stato e richiedere aiuto, il governo spagnolo di Mariano Rajoy ha già annunciato che per il 2013 il Prado, il Reina Sofia e il Thyssen-Bornemisza soffriranno tagli di oltre il 30%. In totale, il governo ridurrà la sua assistenza ai musei in 17 milioni di euro, anche se negli ultimi quattro anni il governo spagnolo ha già ridotto il suo sostegno per la cultura del 70%. Per giustificare tale taglio, il ministro delle Finanze, Cristóbal Montoro, ha classificato il settore come “area d’intrattenimento”, lasciando la classe artistica furiosa, accusandolo di non sapere distinguere tra la cultura e l’hobby. Le biblioteche spagnole avranno una riduzione del 62%. Nel bilancio per il 2013 e l’ordine è quello di vietare gli acquisti di libri per tutto l’anno. Nel cinema spagnolo, le risorse all’Istituto d’Arte Cinematografica e dell’Audiovisivo sono calate dai 106 milioni di euro all’anno nel 2010 ai 68 milioni di euro quest’anno, colpendo così i festival tradizionali come quello di San Sebastián.
I tagli hanno anche colpito la cultura in Grecia, un paese che nel 2013 avrà il suo sesto anno consecutivo di contrazione economica e oggi sopravvive grazie alle risorse del FMI e dell’UE. In un solo anno, il Ministero della Cultura greco ha avuto il suo budget ridotto della metà. Oltre a incidere decine di gruppi artistici, il taglio mette anche a rischio la conservazione dei siti archeologici del paese, una vera miniera d’oro per il turismo. Purtroppo, alcuni dei principali templi del paese sono sul punto di crollare.
Anche in Italia, uno dei pilastri della culturale occidentale, il settore è stato gravemente ferito. Il Teatro alla Scala di Milano, per esempio, ha ben 7 milioni di debito. I funzionari del gruppo di danza, cori e orchestra del teatro hanno accettato due mesi fa un piano per ridurre i loro stipendi del 10%, a condizione che nessuno sarà licenziato. I tagli permetteranno la riduzione del debito a 4,5 milioni alla fine dell’esercizio. Per anni, l’aiuto dello Stato ha garantito le operazioni del teatro ma ora il governo ha dovuto ridurre gli incentivi, mettendo in pericolo però la produzione artistica del teatro, sia in termini di qualità, sia di quantità.
Ma i tagli drastici nel settore artistico non sono presenti solo nei paesi in cui c’è un grave problema di debito. Nel caso dei Paesi Bassi, il governo ha annunciato un taglio di 265 milioni di dollari il bilancio per la cultura, una riduzione del 25% nel 2013. In Germania, i canali di TV e le stazioni di radio più importanti saranno costretti a ridurre le spese di 166 milioni di euro. Nel Regno Unito, la cultura ha affrontato tagli alle sovvenzioni dell’Arts Council England e al finanziamento delle autorità locali. Andrew Lloyd-Webber, compositore inglese e impresario del teatro musicale, ha recentemente avvertito il governo che il loro “grande potenziale creativo è stato colpito senza alcuna strategia di finanziamento chiara per il futuro a lungo termine”. Nell’ultimo anno, più della metà dei musei nel Regno Unito ha avuto i loro budget tagliati, con circa un quarto chiudendo tutti o parte dei loro siti al pubblico.
Chiaramente, le arti sono ormai percepite dai governi come un “passatempo”, ma chiunque sia seriamente interessato riequilibrare l’economia europea dovrebbe occuparsi invece della cultura. Piuttosto che tagliare i budget, un vero e proprio bilancio per la crescita dovrebbe essere costruito sulla base di ciò che c’è e che può essere ancora più maturato.
Sicuramente giustificare la spesa per la cultura è piuttosto difficile in un momento in cui mancano posti di lavoro e fondi per i servizi pubblici di base, dalla sanità all’istruzione. Conseguentemente, le organizzazioni culturali europee cercano di adattarsi, concentrandosi più sulla generazione di reddito attraverso servizi terziari e sulla raccolta fondi, ma purtroppo siamo arrivati ad un punto in cui ogni euro tagliato è una grave perdita. I governi europei devono capire però che, rispetto ad altri settori, le somme degli investimenti culturali sono infinitamente piccole, eppure sono quelle che possono portare rendimenti incomparabili, sia in capitale, sia in ricchezza intellettuale.

Fonte: Tafter - di Julia Ferreira de Abreu 

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