La partecipazione della Santa Sede alla Biennale di Venezia è certamente un evento che segna una rottura rispetto a un'immagine di Chiesa chiusa su se stessa che vuole difendere i propri territori e confini, contro una modernità che la vorrebbe schiacciare e annientare. Quando Paolo VI si rivolge nel 1964 agli artisti nella Cappella Sistina, dicendo loro «Noi abbiamo bisogno di voi», è ben consapevole del fatto che la Chiesa deve essere contemporanea al proprio tempo. Troppo grande era stata la frattura tra arte e fede. Occorreva riprendere un dialogo troppo a lungo interrotto.
La Chiesa deve accogliere le sfide del proprio tempo, avere il coraggio di essere missionaria, di incidere nel tempo presente, non di rimpiangere il passato ricordato nostalgicamente come un periodo glorioso, pensando di farlo rinascere dalle ceneri. Cristo ha parlato alle persone con le quali ha vissuto, con il loro linguaggio, con le loro aspirazioni e desideri. Così dobbiamo fare anche noi!
Da quell'evento storico è passato molto tempo. Malgrado questo appello accorato, non molto è cambiato. Le chiese costruite in questi ultimi decenni lasciano perplessi e interrogativi. Non parliamo poi delle immagini "sacre" che fanno davvero rimpiangere quelle ottocentesche, pur nel loro devozionismo stereotipato, alla "sulpicienne". Pessimo gusto, immagini vuote e artificiali realizzate da dilettanti sembrano le nuove caratteristiche di un'arte sacra che continua a invadere le chiese antiche e moderne, con conseguenze devastanti.
In questo senso, l'avventura del Padiglione Vaticano è meritoria. Finalmente le porte della Santa Sede si aprono per dialogare con il tempo presente. Abbiamo la sensazione di respirare un'aria nuova e insolita.
Per il padiglione della Santa Sede sono stati chiamati artisti di grande valore come Studio Azzurro, Josef Koudelka e Lawrence Carroll, chiamati a confrontarsi con il tema della Genesi, i primi undici capitoli. Tuttavia, che cosa apporteranno di nuovo rispetto alle opere che hanno presentato tante volte in vari spazi museali o nelle diverse gallerie italiane e straniere? In che modo aiuteranno a riflettere su Dio, sul mondo, sugli altri? Sono queste domande centrali.
Quella che oggi appare una vera sfida è l'arte liturgica. Significa comprendere come possa uscire da quella sorta di ghetto in cui sembra essere drammaticamente rinchiusa da decenni. Dimenticare questo aspetto significa bypassare un tema sul quale oggi il dibattito è più aspro che mai. Proprio perché riguarda il senso più profondo dell'identità della Chiesa nel mondo contemporaneo.
Fonte: Avvenire
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