Ecco di seguito un ampio estratto di un interessante articolo di Pierluigi Panza pubblicato sul Corriere della Sera col titolo “Emozioni e conoscenza, ecco l’arte. Una sintesi sensibile della realtà, per presentare il lancio di una nuova collana editoriale dedicata ai grandi dell’arte. Mi sembra un’ottima sintesi, concisa ed esauriente al tempo stesso, sull’evoluzione del concetto di arte nel corso dei secoli.
Quando gli posero la domanda «Che cos’è l’arte», un anziano docente di Estetica, Dino Formaggio, rispose: «È tutto ciò che gli uomini hanno chiamato arte». È una tautologia (ovvero un’affermazione vera per definizione, quindi priva di valore conoscitivo), ma le cose stanno proprio così. Sotto il termine arte noi raduniamo «oggetti particolari» nati per assolvere funzioni diverse e che sono stati realizzati con tempi, modi, economie differenti legate alla propria epoca.
Se trascuriamo gli aspetti divinatori, celebrativi e testimoniali della statuaria classica, al termine del Medioevo, l’arte è un corrispettivo figurativo delle reliquie. Presso un’umanità che non sa leggere e scrivere, l’esposizione di una reliquia oppure la raffigurazione di un martirio o di un evento delle Sacre Scritture assolvono al compito d’indurre alla fede e di offrire una speranza.
Nell’Umanesimo s’incominciano a costruire i primi «sistemi delle arti», ovvero i tentativi di definire il perimetro dell’arte. L’erudito fiorentino Benedetto Varchi, nel 1546, enumerava nel suo sistema un’ampia gamma di discipline divise in arti del fare che rimangono (pittura, scultura) e che non rimangono (le arti performative come la danza, il cavalcare...), in arti che imitano o vincono la natura (architettura) e in altre che avviano l’opera della natura (agricoltura, giardinaggio). Nel sistema dell’erudito Francesco de’ Vieri trovavano posto l’arte della lana e della seta (gli stilisti di oggi), la medicina (la chirurgia estetica), l’arte di raffinare le gioie e i metalli (l’oreficeria). Nel sistema del veneto Sperone Speroni, l’arte è ricondotta ai cinque sensi: esiste l’arte degli unguentari per il naso, l’arte del cuoco per il gusto, l’arte della stufa per il tatto, della pittura per gli occhi e della musica per le orecchie.
L’accentuazione sul tema del «piacere», ovvero sulla capacità di un’opera di stupire e sconvolgere i sentimenti, nasce nel Seicento, quando il teorico Dominique Bouhours affida all’arte la necessità di originare «qualcosa che sorprende». Lo stesso dicasi per Nicolas Boileau, che nella sua Art poétique (1674) affidava all’arte «il segreto di piacere e commuovere». L’arte barocca si gioca su questi principi.
L’idea che l’arte, come alcuni fenomeni della natura (temporali, terremoti...) debba sconvolgere l’animo nasce con la teoria del sublime dell’irlandese Edmund Burke nel 1757: l’arte è ciò che genera emozione, timore, novità, unitamente a bizzarria. Ecco che allora dominano i paesaggisti, le marine, Turner o opere come The Nightmare di Füssli, annuncio di quello che l’arte diventerà con Freud: scoperta del proprio Io.
Dalla metà del Settecento, quando l’arte si incomincia anche a studiare nelle accademie, le arti si consolidano come cinque: le tre vasariane arti del disegno (pittura, scultura, architettura) più poesia e musica, talvolta la danza. L’Idealismo e il Romanticismo collocano l’arte su un piano conoscitivo. L’uomo ha tre facoltà: intelligenza (per la scienza), memoria (storia) e fantasia (che è il regno dell’arte). L’arte disvela la conoscenza attraverso una sintesi sensibile, l’opera, che ci fornisce in sintesi ciò che la scienza raggiunge per congetture e confutazioni. L’arte dell’Ottocento e persino i pre impressionisti sono questo.
L’Avanguardia d’inizio Novecento rompe con questa tradizione e colloca l’arte nel campo concettuale. Essa non deve più rappresentare, ma disvelare attraverso l’opera i meccanismi che portano alla sua stessa conoscenza. Ogni opera risponde alla domanda «che cos’è un’opera d’arte»? Tutto, risponde Duchamp, anche un orinatoio; l’opera è l’artista, gli fa eco Piero Manzoni presentando la sua «merda»; l’arte è andare oltre l’arte e per questo taglio la tela, dice Lucio Fontana.
E oggi? Nel momento la scienza riconosce la relatività dei propri paradigmi assimilandoli a quelli della creazione artistica (da Popper a Feyerabend), l’arte si è consegnata al dominio della tecnica e del capitalismo finanziario. Si dispone come una sorta di o cedola simbolica intorno alla quale ricchi magnati costruiscono valore finanziario di scambio. Come per gli altri «miti moderni» anche il valore dell’arte è costruito dai media e dal relativo controllo finanziario. La capacità di un’opera di scioccare o di essere in grado di suggerire uno storytelling diventa la base di lavoro per la sua vetrinizzazione. L’arte è diventata così fenomeno d’intrattenimento o marchio di riconoscimento delle élite.