giovedì 27 febbraio 2014

L’anglofilia dell’arte che umilia i nostri musei. Copiare le altre culture non aiuta la nostra arte



Caro direttore, viviamo in una città, Roma, dove la cultura museale del contemporaneo ha sempre riscosso scarso credito; in una nazione, dove un sito come Pompei non riesce a guadagnarsi la propria autonomia economica (fa riflettere, di contro, che la mostra londinese Life and Death in Pompeii and Herculaneum abbia ottenuto un grande successo di pubblico). Oggi più che nel passato l'affermazione degli artisti italiani è in balia dei gusti della società anglosassone, a cui devono aderire a rischio di essere sepolti dalla polvere dell'indifferenza - si pensi alle scadenti mostre finanziate dall'Enel; inoltre, buona parte della borghesia - poco illuminata, tantomeno indipendente - tende a scopiazzare le scelte "vincenti" di altre culture, con esiti mediocri. I lavori dei futuristi, i migliori De Chirico, Fontana, Manzoni e Boetti sono stati acquisiti dai musei stranieri, mentre le nostre istituzioni ne hanno solo opere minori. Queste premesse, a mio avviso, aiutano a definire il ruolo che dovrebbe avere il museo: rappresentare il pensiero e la cultura di un popolo. L'operato di Palma Bucarelli deve essere d'esempio, perché dimostra come la soluzione del problema non risieda nella disponibilità economica, ma nei muscoli cerebrali. Quando in Italia esisteva un'aristocrazia illuminata, una chiesa visivamente colta, sono stati creati dei capolavori. Ai politici di questa città chiedo dunque, con umiltà, di unirsi al gruppo di generosi e per il momento donchisciotteschi privati e di riprendere in mano i musei che dovrebbero rappresentarci, con l'orgoglio di dare visibilità all'Italia e al mondo intero dal nostro punto di vista.
Giuseppe Gallo


Fonte: Repubblica

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