Mostre, maledette mostre. Come era già successo a Vittorio Sgarbi con la Moratti (in quel caso un’esposizione ritenuta troppo osée), sono state le mostre a convincere il sindaco di Milano Pisapia a ritirare le deleghe all’assessore alla Cultura Stefano Boeri. Tra i due i rapporti non sono mai stati idilliaci, ma pare che adesso a far traboccar il vaso sia stata la goccia di un budget giudicato eccessivo per le due rassegne su Luini e il Bramantino, che avrebbe prosciugato i fondi per la cultura. In più l’accusa a Boeri è che privilegiasse nei suoi programmi proprio il settore delle arti visive e dell’architettura a scapito di altri ambiti culturali come il teatro e la musica.
In realtà, al di là delle possibili insofferenze personali, è la crisi economica che rende oggi la vita «impossibile» a qualsiasi assessore alla Cultura, soprattutto se di una grande metropoli. La scarsità di risorse costringe i sindaci a fare delle scelte difficili e la cultura finisce per diventare l’anello debole. E se da un lato c’è una sorta di pregiudizio duro a morire, per cui è vista come «circenses» e quindi qualcosa di superfluo, dall’altro c’è anche da dire che chi fa e organizza cultura si è adagiato in molti casi sull’idea che questa debba essere necessariamente «assistita».
Oggi forse si tratta di pensare anche alla cultura e soprattutto alle mostre in termini imprenditoriali: al momento di idearle occorre capire se possono trovare una circolazione e se si possono «vendere» in altre città o Paesi, dall’Italia agli Emirati arabi. Se la cosa può essere complicata per piccole realtà, nelle metropoli ricche di musei e di collezioni questa è forse l’unica possibilità per continuare a farne (i Musei Civici Veneziani ne sono un esempio). E i politici, più che dispensare fondi, dovrebbero costruire lo scenario in cui le varie «imprese» culturali possano muoversi. È una strada difficile, ma alternative in questo momento non sembrano essercene.
Fonte: La Stampa
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